Decodificare il presente, raccontare il futuro

MONITOR


lun 28 novembre 2016

A DESTRA DELLA BREXIT

Piccoli gruppi che cercano visibilità, micro formazioni parapolitiche che nell'era della Brexit hanno trovato il detonatore alle loro istanze xenofobe. La galassia è costellata di nomi: da “Britain First” a “Liberty Gb”, passando per “National Action”. Sono frange più o meno ristrette, che con l’ascesa dei populismi razzisti che seminano odio per l’Europa, hanno trovato legittimità. Il minimo comun denominatore è l’islamofobia

La protesta monta sotto il segno del sovranismo, della chiusura identitaria, dell’intolleranza e perfino del razzismo dichiarato (…) Cosa c’è di più trasversale dell’inganno prospettico che indica nel migrante il nemico? Da La quarta via – Il Tredicesimo piano
Sullo sfondo c’era la Brexit. In primo piano c’era e c’è tutt’oggi l’estrema destra di matrice neonazista, che si nutre di risentimento e xenofobia, razzismo e militanza politica. Si muoveva e si muove nell’ombra, frammentata in piccoli gruppi e forse troppo a lungo sottovalutata dai media mainstream.
Montava la rabbia, cresceva l’ultradestra.
Era il 16 giugno di quest’anno. Pochi giorni dopo sarebbe stato emesso il verdetto popolare: via la Gran Bretagna dall’Unione europea. A Birstall, Yorkshire, era il pieno della campagna referendaria. Thomas Mair freddava Jo Cox con tre colpi di pistola e quindici coltellate. Il primo simpatizzava per l’ultradestra britannica, collezionava letture razziste e oggetti neonazisti. La seconda, deputata laburista, si mobilitava da anni per una Gran Bretagna e un’Europa più aperte, senza confini.
Cinque giorni fa arriva la sentenza della Corte londinese di Old Bailey. Mair viene condannato all’ergastolo.
Sullo sfondo si vede ancora la Brexit. Ora la politica, come in tanti tra i reporter britannici, guardano a destra di quel voto, a quella selva di neonazisti silente e violenta che è cresciuta in seno al democratico Regno Unito. Diane Abbott, ministro ombra dell’Interno ed esponente del Labour, sostiene che il piano antiterrorismo e contro la radicalizzazione messo a punto dal governo ha fallito perché non è riuscito ad arginare le idee dell’estrema destra che straripavano. Dice ai giornalisti: «C’è un’attività allarmante all’interno della nazione» che «riflette la fiducia crescente che i gruppi di ultradestra hanno». Adesso, cioè, sanno di poter diffondere «le loro idee pubblicamente».
Succede in Gran Bretagna, anno 2016. I numeri del National Police Chiefs Council raccontano di un numero sempre maggiore di casi legati all’estrema destra. A Liverpool appaiono adesivi sospetti con su scritto: «Nazi controlled zones».
Mentre la frustrazione economica e di classe si fomentava, le istanze razziste e xenofobe si ritagliavano uno spazio – pericoloso – di differenza e di azione.
È «frammentata, imprevedibile, violenta» l’estrema destra neonazista nella Gran Bretagna di oggi, titola il “Guardian”. Piccoli gruppi che cercano visibilità, micro formazioni parapolitiche che nella Brexit hanno trovato il detonatore delle loro istanze. E quando si parla di allarme violenza, di disagio sociale e di radicalizzazione, il quotidiano “The Independent” scrive che il vero problema è il terrorismo politico, quello di destra. Eppure, la psicosi collettiva (e la risposta istituzionale) è orientata solo e unicamente a scardinare il terrorismo di matrice islamica.
La galassia è costellata di nomi. Sono frange più o meno ristrette, ma esistenti, e che con l’ascesa dei populismi razzisti che seminano odio per l’Europa (e per gli Stati Uniti), hanno trovato legittimità. [qui e qui gli approfondimenti de “i Diavoli”, ndr].
Quello che fu in parte il British Movement (il motto era «sangue e onore») o il National Front (fondato nel 1967, attivo negli anni Sessanta e Settanta ma ancora attivo), è rinato nell’ostentazione d’odio manifesta di gruppi come il National Action (gruppo segreto formatosi nel 2013), passando per Britain First (per il divieto dell’Islam, creato cinque anni fa da Paul Golding e Jayda Fransen), gli Yorkshire Infidels (una vera e propria rete regionale di neonazi) e Liberty GB (islamofobo, fondato nel 2013).
Il minimo comune denominatore  è l’islamofobia, che ha permesso ai movimenti di estrema destra di lavorare sul fronte locale. Ci hanno messo vent’anni, trovando la sintesi tra la strada e le stanze di una sede da vera e propria formazione politica. E ad esplorarne i passaggi evolutivi è stato tra i primi Ian Cobain, dalle colonne del “Guardian”, all’indomani del verdetto contro Mair.
Dagli anni di gloria nera del British National Partyall’ultradestra spezzettata in piccoli gruppi poco più che cittadini, il salto è stato concettuale: dall’odio di razza all’odio religioso, dalla costruzione del “nemico” nero all’invenzione del “nemico” musulmano, immigrato.
A metà di questo percorso c’è l’Ukip di Nigel Farage, il “gemello” di Donald Trump in versione British, che è stato capace di ripulire negli anni recenti le istanze razziste e anti-immigrati, innalzandole di livello e liberando i nuovi elettori dal peso dell’etichetta di ultradestra.
Se fino agli anni Novanta il motto del British National Party era “hobbyism, hard talk e Hitler”, racconta Cobain, nel 1999 il nuovo leader Nick Griffin ha riorganizzato il partito dirottandolo contro una nuova presunta minaccia: i musulmani e l’Islam. Niente più teste rasate, via bomber e stivali alti. Gli esponenti sono diventati “presentabili” e nel 2009 hanno ottenuto due seggi al parlamento europeo.
Ma il BNP alla fine ha sofferto il populismo “dalla faccia pulita” proposto da Farage: nessun apparente slogan razzista, ma pura rivendicazione trasversale contro lo straniero.
Sullo sfondo c’è la Brexit. Oggi, come vent’anni fa, l’estrema destra è di nuovo smembrata.
Il referendum per il divorzio di Londra da Bruxelles ha solo scoperchiato la cloaca d’odio. Chi guarda da tempo all’evoluzione dei gruppi di destra non ne è rimasto per niente sorpreso.
Ma, come ha spiegato Matthew Feldman, studioso dei movimenti fascisti (e anti-fascisti) alla Teesside University, il 2016 è un anno particolare. Perché la Brexit, come la vittoria di Trump, ha scatenato una sorta di «razzismo celebrativo».
Il nemico è l’archetipo che domina l’Europa: il liberal-xenofobo, colui che accetta supinamente il dominio del capitalismo globale e considera lo straniero come la minaccia per definizione. Occorre rovesciare questo paradigma: è il capitale che crea le migrazioni di massa e deprime il lavoro, ed è il capitale che – circolando selvaggiamente alla ricerca di ecosistemi perfetti e bacini d’estrazione sempre nuovi – devasta l’ambiente, ridelinea gli assetti geopolitici, detta deleteri cambi di regimi in giro per il pianeta. Lo xenofobo liberale non capisce che è proprio l’ottusità della sua ideologia a generare disastri e catastrofi. Concentrato sul sintomo, ignora la causa che lo produce. Le migrazioni di massa sono il motore del tardo-capitalismo: prima, vengono indotte, poi osteggiate. Da La quarta via – Il Tredicesimo piano

NEWSLETTER


Autorizzo trattamento dati (D.Lgs.196/2003). Dichiaro di aver letto l’Informativa sulla privacy.



LEGGI ANCHE: