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MONITOR


mer 23 marzo 2016

SOLO I GIOVANI PAGANO IL CONTO

Gli studenti americani hanno debiti che superano il trilione di dollari, i colleghi inglesi tornano a vivere dai genitori. Disoccupati e senza figli, ecco la generazione che non ha futuro

23 MARZO 2016 – Due notizie di stringente attualità su tutte dovrebbero servire a comprendere chi stia realmente pagando il disperato tentativo dell’economia internazionale di tornare su un percorso sostenibile di crescita. Notizie che peraltro arrivano proprio dai paesi dove questa sedicente ripresa sembra assai meglio indirizzata rispetto a quella anemica dell’eurozona o a quella dei paesi emergenti, che anzi spaventano. Le due storie sono riferite agli Stati Uniti e al Regno Unito. La prima racconta dell’esplosione dei debiti studenteschi dei giovani americani, che ormai superano abbondantemente il trilione di dollari e si connotano per un tasso di delinquency, ossia di ritardo nei pagamenti, che avrebbe fatto arrossire i vecchi mutuatari subprime. La seconda racconta di come sia aumentato drammaticamente il numero dei giovani inglesi che è tornato a vivere con i genitori, vuoi perché i redditi dei più giovani sono cresciuti assai meno degli altri, vuoi perché i prezzi delle abitazioni sono divenuti semplicemente inaccessibili.
NELLA FASCIA TRA I 22 E I 29 ANNI CI VOGLIONO 11 ANNI DI STIPENDIO PER ESSERE IN GRADO DI COMPRARE UNA CASA
Nel dettaglio, la situazione dei giovani statunitensi mostra un debito per prestiti studenteschi in notevole aumento dal 2008 in poi – ormai pesa circa il 10% del totale dei debiti privati delle famiglie americane – per un ammontare che supera 1,2 trilioni di dollari. L’11,5% di questa montagna di debito era in ritardo di oltre 90 giorni, connotandosi come la categoria di prestiti a delinquency più elevata. Non è difficile capire perché: mentre è molto facile fare debiti, è molto difficile ripagarli se al termine degli studi si trovano lavori poco remunerativi o non se ne trovano affatto. Osservando la decomposizione del tasso di disoccupazione americano, arrivato al 4,9% a gennaio 2016, infatti, si nota che sono proprio i giovani dai 16 ai 24 anni quelli che esibiscono i tassi più elevati, arrivando fino a oltre il triplo dei tassi ufficiali.
La storia dei giovani inglesi è altrettanto edificante. Prima della crisi del 2008 solo un giovane su cinque fra i 20 e i 34 anni viveva in casa dei genitori, mentre adesso uno su quattro, il numero più alto dal 1996, ovvero la data da cui parte la serie storica rilasciata dall’istituto britannico di statistica. A fronte di questa tendenza, si osservano alcune peculiarità. La percentuale di giovani proprietari di casa fra i 25 e i 29 anni è diminuita, sempre dal 1996 al 2015, dal 55% al 30%, e quella dei giovani fra i 30 e i 34 dal 68% al 46%. La conseguenza è che oltre il 90% dei 20-24enni che riescono a vivere da soli paga un affitto, ed è quindi esposto alla fragilità di chi è sprovvisto di una minima forma di patrimonio reale.
Se guardiamo ai redditi, scopriamo che a fronte di una media che indica in 4,5 il numero di anni di reddito necessari per acquistare un’abitazione, per i giovani dai 22 ai 29 anni, gli anni di stipendio necessari sono 11, il che è una diretta conseguenza del fatto che nel 2013 i redditi reali dei ventenni erano il 12% più bassi di quelli del 2009. E questo si verifica proprio nella fascia d’età dove si concentra maggiormente la disoccupazione.
Queste storie raccontate insieme, pure al netto delle inevitabili differenze fra i due paesi, fotografano con chiarezza una tendenza evidente: le generazioni più giovani stanno sopportando buona parte dello sforzo di riequilibrio dell’economia. Le società stanno replicando, chissà quanto coscientemente, il pensiero antico che in fondo non c’è nulla di male a far pagare ai più giovani il conto, perché, si dice, sono giovani e avranno tempo per migliorare. Il che sarebbe pure accettabile se fosse vero. In un’epoca che discute di stagnazione secolare, sembra difficile impedire che l’effetto di trascinamento di una situazione economica svantaggiata possa sanarsi nel corso del tempo grazie al miracolo della crescita. Il rischio reale che questi giovani stanno affrontando è di arrivare all’età adulta e trovarsi anziani senza avere maturato né un reddito dignitoso né tantomeno una pensione. Le economie cosiddette avanzate stanno semplicemente creando le premesse per trovarsi un domani una pletora di anziani bisognosi di tutto.
IL CASO ITALIANO: NEL GENNAIO 2016 LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE È SALITA AL 39,3% TRIPLICANDO IL TASSO NAZIONALE.
Se guardiamo al caso italiano notiamo che a gennaio 2016 il tasso di disoccupazione dei 15-24enni era salito ancora al 39,3%, lo 0,7% in più rispetto al mese precedente, a fronte di un dato nazionale aggregato dell’11,5%. Quindi, al netto delle differenza di classificazione con gli Usa (che considerano la coorte 16-24 anni), anche da noi si replica il copione che vede la disoccupazione giovanile triplicare il tasso di disoccupazione nazionale. Ciò a fronte di una situazione di reddito e patrimonio assai diseguale dove l’età gioca un ruolo molto importante. La tabelle su reddito equivalente e sulla ricchezza netta, elaborate da Bankitalia, evidenziano che entrambe le voci sono crollate per i più giovani e migliorate per i più vecchi. Anche da noi, quindi, la reazione della società alla crisi è stata quella di tutelare le fasce di popolazioni più adulte a discapito di quelle più giovani. Non stupisce perciò che i nostri giovani vivano in gran numero ancora a casa con i genitori, e assai più degli inglesi, visto che sono più di due su tre.
La narrazione della statistica tace sulle conseguenze implicite che porta con sé. Impoverire i più giovani, che sono la parte più dinamica della popolazione, ha conseguenze evidenti sulla domanda aggregata e potenziale. Un giovane ha una propensione al consumo di sicuro più elastica al reddito rispetto a un anziano, e se ha buone prospettive è probabile metta su famiglia e quindi contribuisca maggiormente alla crescita nazionale. In tal senso spostare potere d’acquisto dalle coorti più anziane a quelle più giovani sarebbe una scelta ragionevole per una società che ha problemi di crescita. Al contrario si favorisce un modello redistributivo laterale nel quale il giovane vive grazie ai soldi che gli regala il nonno, magari nella prospettiva di un’eredità. Esattamente l’opposto di quanto dovrebbe avvenire in un’economia sana.
Tali tendenze, purtroppo, sono comuni anche in altre economie. Il recente report dell’ILO, “World employment and social outlook 2016”, mostra che un po’ dappertutto i giovani si segnalano per gli alti tassi di disoccupazione e la persistenza nella parte bassa della distribuzione della ricchezza. In un report del 2015 (“Global employment trend for Youth”) l’ILO notava che nel 2014 i giovani senza lavoro erano il 36,7% a livello globale, segnando un miglioramento rispetto al 2004, quando erano il 41,5%. Ma a fronte di questo miglioramento constatava anche che i giovani rappresentavano appena un sesto della popolazione mondiale, e quindi quei tassi di disoccupazione pesavano relativamente assai di più di quelli registrati in altre coorti. Senza considerare che il miglioramento globale nascondeva parecchi peggioramenti locali. In generale risultò che due giovani su cinque erano in situazione di sofferenza lavorativa perché privi di impiego o perché vivevano in povertà.
E tuttavia, al di fuori dei circuiti specializzati, della sorte di questi nuovi poveri si parla poco. Finirà che ci accorgeremo di loro quando saranno ormai vecchi e dovranno essere accuditi, ma non si capisce da chi, visto che nelle economie avanzate si fanno sempre meno figli e soprattutto non si capisce come. Gli Stati, infatti, hanno sempre meno spazio fiscale e le prospettive demografiche iniziano ad essere preoccupanti. Di recente Christine Lagarde, capo del Fmi, ha parlato al Mit (“Demographic Change and Economic Well-being: The Role of Fiscal Policy”) sollevando proprio la questione di come le sfide demografiche metteranno a dura prova i bilanci pubblici, arrivando alla conclusione che se le tendenze attuali proseguiranno sarà praticamente impossibile sostenere le spese necessarie a garantire ai futuri anziani, che sono i giovani di oggi, pensioni e cure mediche sufficienti. I poveri di oggi, a meno di profondi cambiamenti socio-economici, saranno i poveri di domani. Qualcuno dovrebbe farglielo sapere.

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