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MONITOR


gio 15 giugno 2017

COSA NE SARÀ DELLA BREXIT NEL CAOS MAY

Che succederà ai cittadini europei con la Brexit? Quali sono le condizioni dopo il voto britannico? Theresa May prova a tirare dritto, ma è praticamente immobile. Dopo mesi di tracotante retorica per un’uscita in versione “dura” del Regno Unito dall’Unione europea, vacilla. I segnali (d’incertezza) ci sono tutti. E l'Europa guarda al controllo della City di Londra.

«Il linguaggio politico è stato progettato per fare sembrare le bugie veritiere» e «per dare una parvenza di solidità al vento puro». È una complessa ricetta fatta di «eufemismo», «dare le cose per scontate» e «vaghezza».
George Orwell, “La politica e la lingua inglese”
Theresa May prova a tirare dritto, ma è praticamente immobile. Dopo mesi passati a ripetere come un refrain “Brexit significa Brexit”, la tracotante retorica di un’uscita in versione “dura” del Regno Unito dall’Unione europea vacilla, all’ombra dei risultati elettorali dell’8 giugno che hanno visto il partito conservatore indebolito e un Labour in grande spolvero, guidato da Jeremy Corbyn.

I segnali (d’incertezza) ci sono tutti: 1) il tradizionale discorso della regina per “inaugurare” il nuovo Parlamento, fissato per lunedì 19, è ufficialmente sospeso; 2)  i media riferiscono di segnali di un cambio di passo: da una “soft Brexit” a una “open Brexit” – come ha scritto il Financial Times – per un accesso (parziale) al cosiddetto “common market”; 3) le nomine di viceministri e sottosegretari del nuovo governo a guida Tory suggeriscono un’apertura a posizioni meno intransigenti verso l’Europa: un nome tra tutti, quello di Joyce Anelay (già sottosegretaria agli Esteri che si era impegnata con il Remain) a numero due del ministero designato per la Brexit.
La premier britannica Theresa May
Di certo, per ora, ci sono soltanto le intenzioni manifeste di Theresa May. La premier britannica non sembra voler ingranare la retromarcia. «I tempi della Brexit non cambiano, i negoziati cominceranno la prossima settimana», ha assicuratodurante una conferenza stampa all’Eliseo dopo l’incontro con il presidente francese Emmanuel Macron. Londra –  stando alle parole di May –  vuole «mantenere forti relazioni con l’Ue e con i singoli Stati» europei. A questo punto, che la Brexit sarà “hard” o “soft” non è dato saperlo.

Fino a qualche settimana fa i piani erano diversi, come scrivevamo qui:
Il team di May pensava a un piano transitorio a due velocità: da un lato, Londra continuerebbe a pagare la sua quota Ue fino al 2020; dall’altro, in questa fase, godrebbe di condizioni favorevoli rispetto al mercato unico. In questo modo, l’uscita dal «single market» tanto caro al business della City e il divorzio dai 28 non sarebbe contemporaneo. Inoltre, troverebbe spazio anche la tutela dei diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito. Il prezzo da pagare all’Europa per la Gran Bretagna ammonterebbe a 17 miliardi di euro, sempre che ad ostruire la strada della May non si frapponga il bastone tedesco.
Non è un caso, però, che sia dalla Francia che dalla Germania arrivi la stessa istantanea, «la porta resta aperta». L’ha invocata Macron: «Fino a che il negoziato non sarà finito la porta resta sempre aperta. Ma la decisione è stata presa dal popolo sovrano britannico e come tutte le decisioni del popolo sovrano va rispettata», precisando poi che «non si tratta di sapere se si torna o meno sulla decisione» presa dai britannici per il referendum dello scorso giugno, «Ma finché i negoziati non saranno conclusi ci sarà sempre la possibilità di aprire la porta». Immagine identica quella offerta dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble: «Se la Gran Bretagna dovesse cambiare idea, le porte sarebbero aperte».
Intanto l’Unione europea, per bocca del capo negoziatore sulla Brexit, Michel Barnier, si prepara «a tutte le opzioni, inclusa quella di un ‘no deal’». A una condizione: nessun «rinvio delle trattative», perché non bisogna «perdere tempo» ed entro novembre 2018 bisogna arrivare a una decisione. Perché – dice Barnier a Le Monde – rinviare significare creare «instabilità, di cui l’economia e l’occupazione non hanno bisogno».

Quali sono i paletti dell’Europa davanti a una May così debole, che evidentemente non ha imparato la lezione del predecessore David Cameron? La Commissione europea ha dettato la sua linea sui due punti cruciali dei negoziati: accordo finanziario e regole per i cittadini europei. I cosiddetti “position paper” sono stati pubblicati online, ma per ora il conto esatto che Londra dovrà pagare non si sa. È chiaro, invece, che la Gran Bretagna dovrà occuparsi delle spese di “trasloco” e tenere fede a tutti gli impegni che riguarda il Fondo europeo per lo sviluppo e il fondo per i rifugiati in Turchia.

Cosa succederà ai cittadini? La Commissione chiarisce che Londra dovrà garantire «gli stessi livelli di protezione garantiti ai cittadini dei 27 in Gran Bretagna e ai cittadini britannici nei 27 paesi Ue esistenti alla data del ritiro, incluso il diritto di acquisire la residenza permanente dopo cinque anni di residenza legale di cinque anni». E ancora: nessuna modifica rispetto ai diritti riguardati il lavoro e i trattamenti pensionistici.

In realtà, l’obiettivo numero uno dell’Europa sarebbe un altro: controllare la City di Londra, come scrive Eunews: «L’esecutivo propone di dare più poteri all’Esma, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati con sede a Parigi. Sarà questo l’organismo responsabile per la sorveglianza dei mercati secondari, quelli dove si scambiano i derivati».

Staremo a vedere.

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