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sab 30 dicembre 2017

COREA DEL SUD: LE NOTTI DEI BITCOIN ZOMBIE

Smartphone alla mano, rimangono svegli la notte o h24 a controllare le fluttuazioni di mercato. Li chiamano «Bitcoin Zombie». Durante l’ultima settimana dell’anno, l’ennesimo scossone al fenomeno è arrivato dall’Asia, precisamente dalla Corea del Sud. Giovedì 28 dicembre il governo di Seul, in un comunicato, ha annunciato un giro di vite imminente per le transazioni in Bitcoin e per l’apertura di conti per scambiare criptovalute.

Durante l’ultima settimana dell’anno, l’ennesimo scossone al fenomeno Bitcoin è arrivato dall’Asia, precisamente dalla Corea del Sud. Giovedì 28 dicembre il governo di Seul, in un comunicato, ha annunciato un giro di vite imminente per le transazioni in Bitcoin e per l’apertura di conti per scambiare criptovalute.

Secondo Korea Times, le nuove norme comprendono lo stop immediato dell’anonimato per i conti di Bitcoin, che dovranno essere abbinati a un conto corrente regolarmente aperto presso gli istituti bancari riconosciuti dallo stato. Oltre all’ipotesi di tassare i profitti conseguiti investendo in Bitcoin, le autorità potranno anche decretare la chiusura di un conto Bitcoin se si riscontrassero attività sospette come riciclaggio di denaro e acquisto di materiale illegale.
L’annuncio, che di fatto snatura il carattere «anonimo e sovranazionale» tipico delle criptovalute, ha immediatamente avuto ripercussioni negative sul valore di mercato di Bitcoin, crollato di oltre 1000 dollari (pari all’11 per cento) fino ad attestarsi a 13.500 dollari per Bitcoin.
Il giorno seguente, venerdì 29 dicembre, mentre la stampa internazionale era tornata a suonare le campane a morto per la più celebre delle criptovalute, Bitcoin rimbalzava chiudendo sopra i 14.000 dollari.
Mentre investitori e analisti internazionali continuano a dividersi tra Bitcoin-entusiasti e profeti di sventura, lontano dalle speculazioni aritmetiche, in Corea del Sud, è già possibile testare con mano gli effetti sociali della Bitcoin-mania che si è abbattuta sul paese.
Esiste già una certa letteratura giornalistica a proposito, in grado di alimentarsi di numeri impressionanti. La Corea del Sud, con poco più di 51 milioni di abitanti, è oggi il terzo mercato Bitcoin al mondo, dopo Stati Uniti e Giappone: il 21 per cento delle transazioni da valuta tradizionale a Bitcoin, secondo le stime, avviene in won, la moneta sudcoreana.

Secondo un recente sondaggio condotto da Saramin intervistando quasi mille «colletti bianchi», oltre il 31 per cento degli impiegati sudcoreani ha dichiarato di aver investito in criptovalute. Di media, secondo Saramin, si tratta di un investimento poco superiore ai 5000, per l’80 per cento degli intervistati in grado di restituire profitti.

«Riguardo i guadagni, il 21,1 per cento ha dichiarato profitti intorno al 10 per cento, mentre il 19,4 per cento sostiene che investendo in criptovalute abbia avuto profitti superiori al 100 per cento. Di media, in questa fascia, il margine di profitto è stato il 425 per cento» si legge ancora su Korea Times.
Non stupisce, quindi, che alla domanda «perché hai iniziato a investire in Bitcoin?», oltre la metà degli intervistati abbia risposto «mi è sembrato il modo più veloce per fare soldi».
Si stima che oggi almeno 2,5 milioni di sudcoreani dispongano di fondi in criptovalute, una tendenza che ha preso particolarmente piede tra i più giovani. Precisamente un mese prima del giro di vite sudcoreano, il primo ministro Lee Nak-yeon aveva messo in guardia i propri concittadini dall’Eldorado Bitcoin, evidenziando «casi in cui giovani sudcoreani, compresi studenti, si buttano nel mercato per fare soldi facili, comprando criptovalute usate per attività illegali come spaccio di droga e frode». Secondo Lee, facendo eco alle medesime preoccupazioni già esposte dal governo cinese, «ciò può portare a seri stravolgimenti o fenomeni sociopatologici, se non si interviene».

Nonostante l’intervento delle autorità sudcoreane e recenti casi di hacking che hanno mandato gambe all’aria alcuni tra i principali exchange di Bitcoin basati in Corea del Sud, i giovani sudcoreani sembrano intenzionati a continuare l’avventura speculativa delle criptovalute, cavalcando l’onda di un entusiasmo generazionale.

Un reportage firmato da Dahee Kim per Reuters racconta le aspirazioni e le esperienze di giovani universitari della Sungkyunkwan University di Seul, che nelle criptovalute vedono una scorciatoia per «il successo» e si sono uniti in club universitario chiamato Cryptofactor: organizzano presentazioni per altri studenti, spiegando l’abc dell’investimento in criptovalute; si scambiano notizie e consigli finanziari, si aiutano a vicenda in attività di autoformazione.
C’è chi si descrive come «esperto di criptovalute», avendo studiato il mercato «per dieci ore al giorno, tutti i giorni, per mesi» e non vuole più «diventare un insegnante di matematica». Chi pensa a una doppia carriera «sportivo e investitore» e chi non ha alcuna intenzione di smettere proprio ora, quando in soli sei mesi «ho fatto guadagni a venti zeri».
Nonostante autorità ed esperti finanziari continuino a sbandierare il rischio di un enorme «Ponzi scheme» pronto a deflagrare nelle mani di giovani investitori troppo naif, la promessa di soldi facili a portata di smartphone è al momento decisamente più allettante di un futuro fatto di incertezza economica e di competizione alle stelle per un posto di lavoro.

C’è chi non va a dormire fino alle 2 di notte, così da tenere sotto controllo le fluttuazioni di mercato decretate da investitori sudcoreani e giapponesi, e chi ormai spasmodicamente si tiene aggiornato h24, via smartphone, sulle quotazioni di Bitcoin. Per questi ultimi, la stampa coreana ha già coniato il nome collettivo di «Bitcoin Zombie».

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