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mer 18 ottobre 2017

CINA, ECCO COME XI JINPING PUNTA ALL’OLIMPO DEL PCC

Si apre a Pechino il 19esimo Congresso del Partito comunista. Cosa significa questo passaggio politico e dove andrà l'economia cinese nei prossimi cinque anni, guidata da un leader ambizioso e accentratore come il presidente.

Messaggi su Whatsapp bloccati. Disponibilità di appartamenti in affitto a Pechino via Airbnb scesa a zero – da un giorno all’altro – fino al 31 ottobre, “per circostanze esterne”. Servizi di Vpn per circumnavigare la censura del Great Firewall dell’internet cinese sospesi fino a data da destinarsi. Amministrazione locale di Pechino sotto pressione per garantire cielo terso e qualità dell’aria ottimale.

Come usanza a ridosso di eventi particolarmente significativi per il potere cinese, dal 18 ottobre, per una settimana, tutto dovrà essere – o almeno sembrare – perfetto, impeccabile, saldamente sotto controllo. A garanzia dello svolgimento indisturbato del Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese: nel calendario della Repubblica popolare, l’appuntamento politico per antonomasia.
Indetto ogni cinque anni, il Congresso del Pcc che si apre a Pechino è il 19esimo nella storia del partito e il primo presieduto da Xi Jinping, segretario del Pcc e presidente della Repubblica popolare. Un passaggio politico in cui, oltre alla nomina della nuova classe dirigente nel prossimo mandato di Xi (dato per certo), si cercherà di dedurre dove andrà l’economia cinese nei prossimi cinque anni.
Gli osservatori non si aspettano grandi rivoluzioni nella dottrina economica di Xi, improntata su una presenza sempre maggiore dello Stato nelle attività economiche del paese. Contrariamente alle aspettative riposte nel neo-presidente nel 2013, all’epoca salutato come «il riformatore di cui la Cina aveva bisogno», Xi si è rivelato l’esatto contrario:
«Sotto Xi, il potere si è spostato dai tecnocrati ai funzionari di partito […] Al posto di ridurre i conflitti tra il partito e lo stato in ambito economico – in quanto allo stesso tempo proprietario, entità partecipante e regolatrice – il cammino politico di Xi sembra destinato al contrario ad intensificarli. Per gli investitori a lungo termine, non una buona notizia», si legge sul Financial Times, dando conto di un primo mandato Xi dove lo Stato è intervenuto massicciamente per limitare al minimo gli effetti destabilizzanti del mercato, rimandando il tempo delle riforme.
Concetto ribadito chiaramente anche da Forbes: «Negli ultimi cinque anni sotto Xi Jinping, le profonde riforme in ambito economico e finanziario sono state accantonate in favore della preservazione della stabilità economica. Lo Stato è intervenuto con la mano pesante nei mercati finanziari, ripianando i debiti del mercato azionario nell’estate del 2015, quando la bolla azionaria era esplosa, e rimangiandosi la parola circa la liberalizzazione dei tassi di cambio […]. Le riforme nel settore privato sono andate a rilento e il controllo statale è rimasto molto alto».
Per mantenere la crescita, il governo Xi ha sì da un lato aperto i rubinetti quando necessario, andando a ingrossare il debito fino ai volumi odierni pari al 260 per cento del Pil, ma ha anche messo le basi per la Belt and Road Initiative  – la rete di infrastrutture transazionali destinata a potenziare l’influenza politica e commerciale cinese in Occidente e, nei piani di Xi, a trainare la Cina di domani. Un progetto complesso e ambizioso da portare avanti di pari passo con un consolidamento della leadership, mettendosi al riparo dalle imboscate degli avversari politici interni e garantendo un partito forte in grado di promuovere – questo il wishful thinking “dei mercati” – le riforme di apertura di cui l’economia cinese ha bisogno.

La gestione della classe dirigente secondo Xi

Per una settimana, 2.300 delegati del partito provenienti da tutto il paese si riuniranno nella Grande Sala del Popolo di Piazza Tian’anmen per eleggere – o meglio, confermare col voto le nomine già decise ai piani alti del partito – i membri del Comitato Centrale del Pcc, che a loro volta indicheranno i 25 membri del Politburo, l’organo decisionale del partito. Dei 25 membri del Politburo, sette entreranno a far parte del Comitato permanente del Politburo del Pcc: la vera e propria cabina di regia della Repubblica popolare.
Contrariamente alla generale impressione monolitica della repubblica monopartitica cinese, il Pcc è attraversato da diverse correnti interne che rispecchiano gruppi di potere anche in conflitto tra loro. Il Congresso Nazionale rappresenta la cartina al tornasole del centralismo democratico cinese: le nomine, le bocciature e gli avvicendamenti politici, specie nel Comitato permanente del Politburo, indicano in sostanza in che direzione sta andando la Repubblica popolare.
L’attenzione degli osservatori è tutta sul presidente Xi Jinping, che quest’anno chiude il suo primo quinquennio di governo. Cinque anni in cui Xi è emerso come un leader ambizioso e accentratore, deciso a lasciare un’impronta duratura nella storia del partito e, di conseguenza, della Cina.
Promotore di una mastodontica campagna anti-corruzione nazionale sin dall’inizio del proprio mandato, Xi è riuscito a spazzare via gran parte dei propri avversari interni e ad accentrare nelle proprie mani – e in quelle dei suoi fedelissimi – il potere politico nazionale, distanziandosi nettamente da una consuetudine che imponeva alla “nuova classe dirigente” di scendere a compromessi con i lasciti della vecchia.
Il neo presidente – “quinta generazione” di leader del Pcc – nel 2013 si apprestava a guidare la Cina in concerto con gli uomini posizionati in ruoli chiave dai suoi predecessori Hu Jintao, “quarta generazione”, e Jiang Zemin, “terza generazione”: tre gruppi di potere che avrebbero agito sotto un presidente Xi “primus inter pares”. Le cose in questi cinque anni hanno preso, però, una piega diversa. «Xi ha dimostrato di non avere alcuna pazienza di fronte a queste imposizioni. Durante il suo primo mandato, ha consolidato la propria presa sulla maggior parte delle aree di policymaking formando e presiedendo una serie di “central leading group” che gli hanno permesso di evitare la tradizionale divisione di potere all’interno della leadership di partito» spiega il South China Morning Post, evidenziando che la caduta in disgrazia di Sun Zhengcai – considerato in pole position per una futura premiership, ma finito nelle maglie dell’anticorruzione cinese e cacciato dal partito lo scorso mese di luglio – «è stato il più chiaro segnale della volontà del presidente di non sottostare alle decisioni prese dai suoi predecessori».
E ora, dopo cinque anni a “prepararsi il terreno”, con il Congresso nazionale Xi ha occasione di consolidare ulteriormente la propria leadership, approfittando di un’altra consuetudine non scritta della politica cinese: nessuna carica politica o di governo a chi supera i 68 anni.
Dei sette membri del Comitato permanente del Politburo attualmente in carica, cinque hanno raggiunto i limiti d’età – tutti tranne Xi (64 anni) e il premier Li Keqiang (62 anni). Con ogni probabilità, le poltrone saranno occupate da “uomini di Xi Jinping” e, secondo le indiscrezioni, ci potrebbe essere anche spazio per un clamoroso stravolgimento della consuetudine per lasciare al proprio posto nel Comitato permanente Wang Qishan, il braccio destro di Xi esecutore della campagna anticorruzione nazionale. Wang ha oggi 69 anni e un’eventuale sua conferma nel Comitato permanente segnerebbe un precedente importante anche nell’ottica personale di Xi: l’attuale presidente, nel 2022, finirebbe il secondo mandato precisamente all’età di 69 anni e, col “precedente Wang” si aprirebbe la strada all’ipotesi di un ulteriore quinquennio alla guida del paese.

Eventualità non da escludere se si interpreta la leadership di Xi Jinping negli stessi termini messianici in cui lui stesso Xi sembra valutare la propria carriera politica.
Lungi dal considerarsi un leader “minore”, Xi punta direttamente all’Olimpo del Pcc, al fianco di Mao Zedong e Deng Xiaoping, in una consacrazione che potrebbe arrivare proprio in questi giorni. I nuovi membri del Congresso saranno infatti chiamati a votare anche nuovi emendamenti da inserire nella Costituzione del Partito comunista cinese, dove al momento il “Pensiero di Mao Zedong” e “La Teoria di Deng Xiaoping” sono affiancate dalla “Teoria delle tre rappresentanze” di Jiang Zemin e dalla “Visione dello sviluppo scientifico” di Hu Jintao: insieme, compongono l’eredità politica di quattro generazioni di leader. Inserire nominalmente un’ipotetica “Ideologia di Xi Jinping” nella Costituzione significherebbe certificare Xi come un leader della statura di Mao e Deng.
Più in alto di così, nella Repubblica popolare, non si può andare.

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