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ven 11 maggio 2018

CINA, SOCIAL CREDIT: IL COME-PT.1

Il legittimo timore di svegliarsi, un giorno non troppo lontano, in una società dell’iper-controllo fondata sull’utilizzo dei “big data” da parte dei governi nazionali, negli ultimi mesi ha incoraggiato una fitta produzione giornalistica intorno allo spauracchio del cosiddetto sistema di “social credit” cinese. Andando a pescare nell’immaginario distopico di ieri (1984, George Orwell) e di oggi (“Nosedive”, primo episodio della terza stagione di Black Mirror), al pubblico occidentale è stato offerto un quadretto da incubo caricato dal fascino dell’esotico: in Cina, vuole la vulgata, entro il 2020 il governo affibbierà un punteggio personale a tre cifre calcolato in base alla buona condotta di ciascuno. Per fare chiarezza tra tali spettri inquietanti ed effettivi cambi di scenario, si deve partire dal “come”.

Il legittimo timore di svegliarsi, un giorno non troppo lontano, in una società dell’iper-controllo fondata sull’utilizzo dei “big data” da parte dei governi nazionali, negli ultimi mesi ha incoraggiato una fitta produzione giornalistica intorno allo spauracchio del cosiddetto sistema di “social credit” cinese.
Andando a pescare nell’immaginario distopico di ieri (1984, George Orwell) e di oggi (“Nosedive”, primo episodio della terza stagione di Black Mirror), al pubblico occidentale è stato offerto un quadretto da incubo caricato dal fascino dell’esotico: in Cina, vuole la vulgata, entro il 2020 il governo affibbierà un punteggio personale a tre cifre calcolato in base alla buona condotta di ciascuno.
Tale punteggio, che terrà insieme variabili come il rispetto del codice stradale, fedina penale, diffusione di “fake news” e buoni rapporti di vicinato, decreterà il grado di “affidabilità” tout court del cittadino, determinandone la possibilità o meno di avere accesso a servizi – dai trasporti al credito bancario – o sgravi fiscali per “buona condotta”. Più l’individuo dimostrerà di essere un bravo cittadino, più verrà premiato dal governo; meno si comporterà bene, più grande sarà la punizione delle istituzioni.
La panoramica appena esposta, come spesso capita nel racconto delle cose cinesi a un pubblico di massa non specializzato, sconta una serie di approssimazioni che, nell’intento di scuotere la coscienza collettiva circa le aberrazioni dell’autoritarismo cinese, finiscono per appiattire e sminuire un tema che faremmo bene invece a indagare in profondità e che, francamente, appare ancora più spaventoso di quanto lasciato intendere finora.
Quanto sta succedendo ora in Cina potrebbe presto interessarci in prima persona ma, per prenderne atto, dobbiamo prima capire di cosa si tratta realmente.
L’idea di mettere a punto un sistema di social credit in Cina non è nuova. Le prime formulazioni seminali a tal proposito risalgono almeno al 2007, quando il Consiglio di Stato cinese, in una circolare, palesava la necessità di introdurre nuove misure per «accelerare la costruzione del sistema di credito del nostro Paese, perfezionare ulteriormente il sistema di economia di mercato socialista e costruire una società armoniosa».
Per contrastare la diffusione di pratiche lesive dell’interesse collettivo – “debiti bancari, evasione fiscale, frode commerciali, produzione e vendita di prodotti contraffatti, raccolte fondi illegali etc.” – in continua espansione nonostante gli interventi del potere giudiziario, il Consiglio di Stato riteneva necessaria l’implementazione di nuovi sistemi di controllo in grado di preservare la stabilità dell’assetto economico e finanziario del Paese, andando a premiare o punire, a seconda, individui e compagnie non virtuose.
Per meglio apprezzare l’ampiezza del progetto, è bene sottolineare lo scarto semantico tra il termine originale in mandarino utilizzato nel documento – xinyong (信用) – e la resa data in inglese con “credit”, in italiano “credito”. Spiega Meg Jingzeng su «The Conversation»: «Nel suo contesto originale, “xinyong” è un concetto morale che indica l’onestà e l’affidabilità di ciascuno. Negli ultimi decenni, il suo significato è stato esteso fino a includere la solvibilità finanziaria.»
Più che limitarsi all’aspetto finanziario, il progetto di misurare e classificare la virtuosità di persone fisiche e aziende comprende anche diramazioni morali che sfociano nell’affidabilità, nel quanto si può contare su qualcuno o qualcosa.
Prendendo a prestito un’efficace definizione formulata da Jeremy Daum su «ChinaLawTranslate»: «Il Social Credit è la stenografia del Partito-Stato cinese per un’ampia gamma di sforzi per migliorare la sicurezza del mercato e la pubblica sicurezza, aumentando l’integrità e la fiducia nella società.»
Per farlo, spiega Daum, la Cina intende applicare quattro strategie: 1)Aggregare e integrare informazioni attraverso diverse regioni geografiche e ambiti professionali; 2)Creare misure per incentivare condotte “affidabili” e punire condotte “inaffidabili”; 3)Aumentare il ricorso a valutazioni del credito di ciascuno per quanto riguarda transazioni monetarie, impiego etc.; 4)Usare il meccanismo di cui sopra e l’educazione morale per promuovere un ambiente di affidabilità diffusa.
Come tradurre in un unico indicatore un dato così effimero e composito è il grande nodo che le autorità cinesi stanno cercando di sciogliere. Nel processo, il governo cinese intende integrare l’enorme banca dati di cui è già in possesso – certificati di residenza, allacciamenti ai servizi energetici, fedina penale, contratti di matrimonio, storico degli spostamenti in aereo, acquisto di automobili etc. – con un’altra banca dati ancora più sterminata e capillare: l’insieme dei metadati generati dalla sempre più frequente intersezione tra la nostra vita offline e quella online, in mano alle compagnie hi tech.
Nel 2015 la Banca centrale cinese ha selezionato otto compagnie high tech locali chiedendo loro di sviluppare programmi pilota in grado di dare un “punteggio credito” ai propri utenti. Tra le otto figurano pesi massimi del settore come Tencent e Alibaba, il conglomerato guidato dal magnate Jack Ma, coinvolto nella sperimentazione attraverso il proprio sistema di pagamento istantaneo su mobile Alipay.
Sempre più diffuso come metodo di pagamento standard specie nelle città cinesi, Alipay permette di trasferire soldi da utente a utente e da utente a erogatore di servizio: tramite Alipay posso prestare soldi a un amico, pagare il taxi o la cena, acquistare prodotti online, pagare le bollette, tutto a portata di smartphone.
Il progetto pilota di valutazione di un dato utente su Alipay si chiama Sesame Credit, ed è ad adesione volontaria. Il sistema conserva un archivio dettagliato di ogni singola transazione economica effettuata da un utente, un insieme di dati che può aiutare a delineare un profilo decisamente accurato della “condotta” di ciascuno.
In base alla performance dell’utente sulla piattaforma – quanto spende, quante interazioni ha col resto della community – il servizio offre degli sconti ad hoc da utilizzare acquistando prodotti o servizi di partner di Alipay. In caso di punteggio basso non sono previste “punizioni”.
Due anni dopo l’inizio della sperimentazione, la Banca centrale cinese ha deciso di ritirare la licenza alle otto compagnie inizialmente coinvolte. Per la Banca centrale, il fatto che le compagnie interessate dall’esperimento siano contemporaneamente erogatrici di servizi finanziari e commerciali, rappresenta un conflitto d’interessi che fa venir meno il requisito di imparzialità richiesto alle agenzie di valutazione del credito.
Mentre sul lato squisitamente finanziario la Cina sembra ancora lontana dalla definizione di un sistema rigoroso di valutazione dell’affidabilità di ciascun cittadino, altri progetti pilota “spontanei” stanno riscontrando risultati interessanti.
Simina Mistreanu, su «Foreign Policy», ha raccontato la storia della cittadina di Rongcheng, nella provincia dello Shandong, dove per iniziativa della giunta locale una sorta di sistema di social credit è già in vigore, dal 2013.
A ogni cittadino maggiorenne (740mila persone) sono stati assegnati 1000 punti, il livello base di questa sorta di “patentino del buon cittadino”.
Mistreanu spiega: «Prendi una multa, perdi cinque punti. Vinci un premio cittadino per aver fatto un gesto eroico o portato a termine un affare esemplare, o aiutando la tua famiglia in circostanze inusualmente problematiche, e il tuo punteggio aumenta di trenta punti. Per un premio a livello di dipartimento, vinci cinque punti. Si può anche guadagnare punti facendo donazioni caritatevoli o facendo volontariato.»
In base al proprio social credit cittadino (da una valutazione massima A+++ a un minimo D), ogni residente di Rongcheng può avvalersi di “bonus bravura” come sconti per il noleggio delle biciclette o sgravi sulla bolletta del gas in inverno, fino a presentare il proprio punteggio in banca per “ottenere termini più vantaggiosi per un prestito”. La stessa cosa vale anche per le aziende, valutate in base alla tempistica dei pagamenti delle tasse o a infrazioni di carattere sanitario o amministrativo; le aziende con un punteggio basso, come punizione, devono sostenere controlli aggiuntivi dalle autorità locali.
La mania del social credit cittadino, secondo quanto dichiarato dai cittadini di Rongcheng a Foreign Policy, sembra abbia effettivamente innescato un circolo virtuoso in cui ogni membro della comunità è spronato a “comportarsi bene”.
Un giovane imprenditore di Rongcheng ha spiegato a Mistreanu: «Credo che negli ultimi sei mesi il comportamento della popolazione sia migliorato costantemente. Per esempio, quando guidiamo, adesso ci fermiamo sempre alle strisce pedonali. Se non ti fermi, perdi punti. All’inizio avevamo solo paura di rovinare il nostro punteggio, ma adesso ci siamo abituati.»
Secondo i dati dell’amministrazione locale, al momento il 90 per cento della popolazione maggiorenne di Rongcheng ha una valutazione del social credit cittadino pari ad A.
Escludendo l’ipotesi di un unico valore numerico omnicomprensivo accoppiato a ogni cittadino cinese, l’esperienza di Rongcheng – dove oltre al social credit “comunale” sono sorti altri sistemi di graduatoria spontanei implementati da scuole, ospedali e quartieri specifici della cittadina – lascia intravedere un futuro in cui il grado di affidabilità personale sarà un «ecosistema fatto da vari programmi di diversa ampiezza promossi dalle amministrazione locali, dai ministeri, dai fornitori di servizi per il pagamento online, giù fino a quartieri, biblioteche e negozi, tutti interconnessi da un’invisibile rete di informazioni.»
Dati che già esistono e già risiedono in una serie di database al momento slegati tra loro: la banca dati dell’ospedale, dell’agenzia elettrica, delle fidelity card dei supermercati, dei social network e altro ancora.
Il salto di qualità prefigurato da Pechino è sistematizzare e integrare tutte queste banche dati, un’operazione che per Rogier Creemers, esperto di legge cinese e docente presso l’Università di Leiden (Paesi Bassi), di fatto «espande e automatizza le forme di controllo burocratico già vigenti, formalizzando il controllo e la sorveglianza dei cittadini cinesi già esistenti.»
Migliaia di debitori cinesi con cause pecuniarie già passate in giudicato ma ancora non evase, ad esempio, già sono stati inseriti in una “blacklist” che impedisce loro di acquistare biglietti aerei e del treno o affittare camere d’albergo di lusso, finché i debiti con la comunità non verranno saldati.
Seguendo una tradizione di controllo sociale che ha attraversato, aggiornandosi costantemente, l’intera storia della Cina repubblicana – come Mistreanu evidenzia tracciando un filo rosso che collega il sistema di responsabilità collettiva delle unità di lavoro (danwei) di epoca maoista alla compartimentazione dei cittadini in base al permesso di residenza (hukou) –, il patrimonio di informazioni in tempo reale rappresentato dai metadata digitali dà oggi al Partito comunista la possibilità di esercitare un monitoraggio di massa mai così capillare e istantaneo.
L’ipotesi che il Partito-Stato si faccia presto autorità massima e ultima incaricata di gestire e maneggiare i metadata di 1,4 miliardi di persone, al cittadino occidentale non può che incutere un profondo senso di angoscia, sorvolando sulla gestione immanente dei medesimi dati al momento lasciata ad appannaggio di grandi player transnazionali (Google e Facebook).
Per gran parte della popolazione cinese, invece, accomunata da una diffidenza diffusa nell’imparzialità del settore privato e degli individui al di fuori della propria rete relazionale, affidare al governo la gestione dei propri metadata risulta una scelta non solo naturale, ma soprattutto responsabile.
«Mi fido del governo» dice una cittadina di Rongcheng al Foreign Poolicy, «di chi altri mi dovrei fidare?»
Avendo messo a fuoco cosa si intende in Cina per social credit e come il governo intende di mettere a regime questo sistema di controllo, non ci resta che indagare, nella II parte che seguirà questo approfondimento, l’aspetto più interessante del caso: cioè il perché.
Per la seconda parte dell’articolo, qui.

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