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lun 17 settembre 2018

CINA: IL PARTITO E IL DIVISMO

Fan Bingbing, l’attrice più famosa e pagata della Repubblica popolare cinese, sembra essere scomparsa nel nulla. Circostanza che ha dato adito a diverse voci riguardo il presunto ed ennesimo intervento del Partito “padre-padrone” che governa col pugno di ferro gli eccessi di una società del consumo, percepita come minaccia alla stabilità interna. Al di là della vicenda in sé, ancora piuttosto fumosa, si apre dunque lo spazio per una riflessione tra la Cina e il suo divismo odierno.

Fan Bingbing, 37 anni appena compiuti, l’attrice più famosa e pagata della Repubblica popolare cinese, sembra essere scomparsa nel nulla. Al di là della vicenda in sé, ancora piuttosto fumosa, si apre dunque lo spazio per una riflessione tra la Cina, il Partito e il divismo odierno.
Relativamente nota in occidente grazie all’interpretazione della mutante Blink in X-Men: Days of Future Past e al ruolo di giurata nella penultima edizione del Festival di Cannes, in patria Fan viaggia su ordini di grandezza decisamente più cospicui.
Ha all’attivo 63 milioni di follower su Weibo (piattaforma di microblogging, il “Twitter cinese”), svariati contratti d’immagine con brand del lusso internazionale, una media di quattro film all’anno – compreso il campione d’incassi assoluto sul mercato cinese Lost in Thailand (2012) – senza contare l’attività di produttrice cinematografica e di modella, ospitate in talent show e programmi di intrattenimento di massa e incursioni discografiche nel pop cinese.
Fan, insomma, rappresenta in Cina la mega-star per antonomasia, inevitabilmente presa a esempio virtuoso da milioni di giovani affamati di ricchezza e successo.
Il fatto che una star del suo calibro abbia improvvisamente azzerato la propria presenza in pubblico – l’ultimo avvistamento risale al primo luglio, durante una raccolta fondi per un ospedale pediatrico – e sui social network ha dato adito, di recente, a diverse voci di caduta in disgrazia arrivata dall’alto, l’ennesimo intervento del Partito “padre-padrone” impegnato a governare col pugno di ferro gli eccessi di una società del consumo, percepita come minaccia alla stabilità interna.
La scorsa settimana la stampa cinese, immediatamente ripresa dal resto dei media internazionali, ha dato ampio risalto alla pubblicazione di una particolare classifica stilata dall’Università Normale di Pechino in collaborazione con l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, il principale think tank nazionale affiliato al Consiglio di Stato.
Oggetto dell’indagine: la misurazione della “social responsibility” di un centinaio di star cinesi residenti nella Repubblica popolare o all’estero, elencate in ordine di virtuosità, integrità personale e “impatto positivo sulla società”.
Quali siano state le modalità di valutazione non è dato sapere, ma Fan Bingbing si è posizionata all’ultimo posto, con una valutazionepari allo zero per cento. Delle cento celebrità valutate, tuttavia, solo nove hanno raggiunto la sufficienza (ossia il 60%).
A conclusione del rapporto, secondo quanto riportato dalla stampa locale, le due istituzioni hanno incoraggiato le star a impegnarsi di più per promuovere “energie positive” al posto di indugiare in comportamenti e azioni che potrebbero avere un “impatto negativo sulla società”.
Nel solco del tradizionale “colpirne uno per educarne cento”, Fan Bingbing per Pechino potrebbe rappresentare un bersaglio eccellente, perfetto per ribadire allo star system locale che nella Cina di Xi Jinping nessuno può ergersi al di sopra delle direttive morali del Partito, né al di sopra della Legge, che del Partito è di fatto emanazione diretta.
In altre parole, come già dimostrato con la campagna di rigore e tolleranza zero imposta alla classe dirigente del Paese, l’esecutivo cinese dispone dei mezzi e della volontà di arginare qualsiasi contraddizione sorga in seno alla crescita esponenziale della società dei consumi, imponendo a ogni singolo cittadino della Repubblica popolare una condotta quanto più irreprensibile sia dal punto di vista morale che, soprattutto, dal punto di vista fiscale.
Sul primo aspetto, lo stesso Xi già aveva dato precise istruzioni in un discorso pronunciato a porte chiuse nel 2014 di fronte a una platea composta da artisti, funzionari della propaganda e membri dell’esercito.
La trascrizione del discorso, resa pubblica un anno dopo, contiene passaggi di questo tenore: «In alcuni dei propri lavori, alcuni artisti ridicolizzano ciò che è nobile, distorcendo i classici. Sovvertono la Storia e diffamano le masse e gli eroi. Alcuni non distinguono il giusto dallo sbagliato, il buono dal cattivo, mostrano la bruttezza come bellezza, esagerano i lati oscuri della società. Alcuni sono salaci, indulgono nel kitsch, hanno gusti scadenti e hanno gradualmente fatto dei propri lavori delle mere vacche da mungere, pasticche di ecstasy per la stimolazione sensoriale».
E ancora: «L’arte e la cultura potranno diffondere una maggiore energia positiva solo se la visione marxista dell’arte e della cultura sarà fermamente affermata focalizzandosi sul popolo».
Concetti che arrivano come un’eco del celebre discorsopronunciato da Mao Zedong a Yan’an nel 1942, quando il Grande Timoniere chiarì che la produzione artistica e letteraria della Cina di domani avrebbe dovuto riflettere ed esaltare la vita della classe operaia, servendo gli scopi della politica e dell’avanzamento del socialismo.
Settant’anni dopo, nella Cina del miracolo economico, alla minaccia borghese si è sostituita quella del consumismo sfrenato, della scalata al successo individuale, effetti collaterali di un’avanzata del capitale avvenuta di pari passo alle aspirazioni di soldi facili e immediati cui tende una buona parte della «golden generation» cinese: i figli del benessere.
Secondo la lettura governativa, l’esaltazione dell’estetica del successo individuale operata dai mass media e da internet ha contribuito alla diffusione, tra i giovani cinesi, di una pericolosa «cultura della celebrità».
Il gossip, gli scandali e gli eccessi dei nuovi modelli generazionali incoraggiano sogni «non virtuosi», adombrando modelli di abnegazione e impegno nella collettività che meglio servirebbero gli interessi moralizzatori dell’esecutivo.
Per una dirigenza che tornerebbe con piacere al culto popolare di un Lei Feng – il giovane soldato dell’Esercito popolare di liberazione simbolo di altruismo, modestia e devozione a Mao –, icone come Fan Bingbing, che devono il proprio successo a tutto ciò che il Partito osteggia, rappresentano un problema d’immagine e d’immaginario non più sottovalutabile.
Ridimensionare l’aura di Fan Bingbing, la stella più luminosa del jet-set cinese, permetterebbe al Partito non solo di contrastare questa percepita “decadenza dei costumi” nella società cinese, ma anche di affrontare di petto una tra le furberie più diffuse tra le star dell’industria dell’intrattenimento cinese: il cosiddetto “contratto yin yang”.
Pochi giorni prima della “scomparsa” di Fan Bingbing, Cui Yongyuan – noto presentatore televisivo – aveva pubblicato sul suo profilo Weibo la foto di due contratti cinematografici del medesimo progetto: in uno, il compenso pattuito era pari a 10 milioni di yuan (1,6 milioni di dollari), mentre nell’altro la cifra ammontava a cinque volte tanto.
In entrambe le foto, secondo quanto riportato dal «South China Morning Post», risultava ben leggibile il nome di Fan Bingbing.
Secondo Cui Yongyuan si trattava di un tipico “contratto yin yang”, un doppio contratto siglato tra le parti per permettere all’attore o attrice di dichiarare al fisco quello a compenso più basso, intascandosi in nero il resto del reale cachet.
Nonostante Fan e i suoi legali abbiano immediatamente negato ogni coinvolgimento nella vicenda, e lo stesso Cui abbia ben presto ritrattatodicendo che Fan «non c’entrava niente», a stretto giro le autorità competenti hanno aperto un’inchiesta per far luce sulla pratica, ampiamente diffusa, dei contratti yin yang
Un recente articolo pubblicato su «The Economist» mostra come l’industria cinematografica cinese, la seconda al mondo dopo Hollywood per volumi d’incasso e in continua crescita, da anni stia mettendo in atto strategie per evadere il fisco non solo attraverso i contratti “yin yang”, ma approfittando illegalmente degli sgravi fiscali offerti dal governo per aprire attività e imprese nella Cina occidentale, territorio al centro di un progetto di sviluppo sul medio termine incoraggiato dallo stesso Xi Jinping.
Secondo «The Economist», la destinazione preferita dalle società di produzione cinematografica cinese per stabilire la propria sede fiscale è Khorgas, nella regione del Xinjiang, ultimo avamposto della Repubblica popolare cinese prima del confine kazako.
«Il governo centrale intende fare [di Khorgas] uno snodo centrale delle rotte commerciali verso l’Asia centrale. Le compagnie che registrano la propria sede a Khorgas godono di un’esenzione di cinque anni dall’imposta sul reddito, seguita da altri cinque anni in cui se ne potrà versare solo la metà del dovuto. Nel 2017, 14.472 aziende si sono registrate a Khorgos, quattro volte tanto quante lo fecero nel 2016. Il gettito fiscale locale è aumentato vertiginosamente. Ma molte delle imprese tecnicamente basate in questa polverosa cittadina di confine, lì non fanno proprio niente.
Più o meno nove su dieci sono “asset light industries” che operano nei settori dei media e della finanza. Fan risulta essere una delle dozzine di celebrità che hanno registrato società a Khorgas».
Con queste premesse, la sparizione di Fan Bingbing – c’è chi dice sia già in stato d’arresto, notizia al momento impossibile da confermare – potrebbe avere più a che fare con peccati pecuniari che di vanità.

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