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dom 24 luglio 2016

C’ERA UNA VOLTA UN GARAGE

Come si crea un imprenditore? La risposta più immediata è la seguente: serve poco, una grande idea, tanta determinazione e… un garage

Vuoi il “c’era una volta…” del tuo successo? Comprati un garage. «Nessuno vuole ascoltare la storia dei ragazzi ricchi, con una buona rete di contatti che si incontrano nella sala conferenze del Marriott per tirare fuori un business plan. Non c’è niente di romantico in tutto questo», disse anni fa Dan Heath, Senior Fellow alla Duke University, esperto di imprenditoria sociale e co-autore di tre bestseller del New York Times. Quel giorno del 2009, ai microfoni di una radio americana, Heath e altri esperti discettavano di start-up e di successo. Il fil rouge che teneva insieme i diversi interventi era una semplice domanda: come si crea un imprenditore? Se guardiamo a un mito della narrazione startupper come l’Olimpo della Silicon Valley, eletta a sinonimo di creatività, valle dei sogni e culla dell’innovazione tutta macchine e finanza, la risposta più immediata è la seguente: serve poco, una grande idea, tanta determinazione e…un garage. Il refrain del successo alla portata di tutti e il mito dell’imprenditore self-made man sistematicamente ritorna, grazie al web che ripropone a ciclo continuo storie e leggende (tra gli ultimi l’infografica di “Essay Writing Place”). Il banner recita: «Passione, impegno e coraggio sono spesso ciò che serve per fare della tua compagnia un’impresa di successo. Un semplice garage e una grande idea è quello che serve». E ancora si legge: «Ogni nuova azienda deve cominciare da qualche parte. E chi ti ha detto che per iniziare hai bisogno di un ufficio?». Intorno a questa cornice narrativa, aziende come Google, HP, Apple, Amazon, Disney hanno costruito sopra un modello di fama e scalata sociale, narrando solo in parte la loro dolce vita da multinazionali. Le storie vengono vendute come «incredibili», cominciate nei «luoghi più improbabili». Nell’immaginario collettivo che ne viene fuori, il garage è diventato entità leggendaria, collettore di sogni e punto di inizio di grandi carriere. È il luogo dove si incontrano umili origini e grandi progetti. Il garage diviene strumentale per la retorica che si sviluppa attraverso la “trinità” sacrificio-visione-innovazione. Tutto questo però spesso omette i passaggi che riguardano le (dispari) opportunità ricevute e le disuguaglianze delle situazioni di partenza.
Ma andiamo con ordine. Le vicende si snodano quasi tutte in California. In cima alla lista c’è Disney. Sarebbe andata più o meno così. Era il 1923 e in un garage appartenente allo zio di Walt Disney, dove a malapena entrava una macchina, due fratelli iniziano a lavorare alle tavole che poi avrebbero ispirato “Alice nel Paese delle meraviglie”.
Sedici anni dopo arriva il turno di HP. Correva l’anno 1939 e con un modesto investimento iniziale e un garage in affitto (adesso diventato museo), due ragazzi appena laureati – al secolo Bill Hewlett e Dave Packard – gettano le basi per la nascita di Hewlett-Packard Co. (HP). Lì costruiscono il loro primo prodotto: un oscillatore audio. Tutto vero, ma i due non erano di certo due outsider, venivano dal MIT di Boston e da Stanford. Avevano i contatti giusti, Packard aveva anche lavorato alla General Electrics.
Poi c’è Apple. La leggenda racconta di due giovani visionari del tech, Steve Jobs e Steve Wozniak, che a partire dal 1975 usarono il garage di casa Jobs per assemblare i primi computer Apple, poi venduti a un rivenditore locale per 500 dollari ciascuno. Peccato che lo stesso Wozniak abbia smontato questo racconto in un’intervista a Bloomberg del 2014: «Il garage è un po’ un mito. Non abbiamo fatto nessun disegno lì, niente impaginazione, niente prototipi, nessun progetto dei prodotti. Il garage non è servito a molto, tranne che era qualcosa che ci faceva sentire a casa. Non avevamo soldi». Il vero laboratorio era «in un cubicolo alla Hewlett-Packard a Cupertino (California)». Nonostante le parole di Wozniak, la «mistica» dei due geni creatori in un box di Los Altos è talmente «radicata», come ha scritto il New York Post, da alimentare ancora la leggenda.
Vent’anni dopo la nascita del marchio con la mela morsicata tra un posto auto e un laboratorio ad HP, Larry Page e Sergey Brin mettono insieme le loro conoscenze, maturate a Stanford, e sviluppano Google. Dal 1996 ad oggi, G è diventato il gigante dei motori di ricerca online. Del garage brand ha fatto una favola vera e propria, da recuperare all’occorrenza per esigenze di marketing. In realtà il garage è arrivato solo nel 1998, cioè due anni dopo i primi lavori sull’online search engine. E i due sono rimasti lì dentro solo per cinque mesi, secondo quanto ha ricostruito Ira Glass. Ma il garage è diventato un marchio del successo di Big G, tanto che la società ha comprato l’intera casa nel 2006. Susan Wojcicki, capo della divisione pubblicitaria Google e ora Ceo di Youtube, nonché ex moglie di Sergey Brin, ha raccontato la sua versione, riportata da The Verge: «Nel 1998 Sergey e Larry avevano ricevuto dei fondi e cercavano uno spazio per il loro ufficio. Avevo appena comprato questa casa ed ero preoccupata per il mutuo». Così il garage è diventato un punto d’appoggio, ma Page e Brin avevano soldi e contatti a sufficienza.
Tra queste creazioni tanto mitiche quanto affermate, si inseriscono anche Jeff Bezos e la sua Amazon.com, anch’essa nata ufficialmente nel 1994 in un garage. Non che Bezos allora non potesse permettersi un affitto in un altro posto, visto che dopo la laurea a Princeton aveva – tra l’altro – lavorato a Wall Street. Anche Bezos, dunque, non era affatto l’ultimo arrivato.
«Nessuno vuole ascoltare la storia dei ragazzi ricchi, con una buona rete di contatti che si incontrano nella sala conferenze del Marriott per tirare fuori un business plan. Non c’è niente di romantico in tutto questo»

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