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MONITOR


mer 28 giugno 2017

LO STRANO CASO WARMBIER NEL PANTANO USA – COREA DEL NORD

Luci e ombre sulla vicenda dello studente Usa arrestato dal regime di Pyongyang, condannato ai lavori forzati e tornato a casa in coma prima di morire pochi giorni dopo. Intanto, nonostante l’eccezionale crudeltà del caso abbia ulteriormente complicato il rapporto tra Trump e la Corea del Nord, sembra che nulla sia cambiato nelle trame diplomatiche che coinvolgono Stati Uniti e Cina, da mesi impegnati in un braccio di ferro sulle modalità di gestione della crisi coreana.

Il 19 giugno scorso lo studente statunitense Otto Warmbier, 22 anni, è morto presso l’ospedale dell’Università di Cincinnati, in Ohio. A darne l’annuncio, senza specificare le cause della morte, sono stati i genitori Fred e Cindy Warmbier che, in un comunicato, hanno parlato di «maltrattamenti orribili e strazianti» inflitti dai carcerieri nordcoreani al figlio.

Warmbier era rientrato negli Stati Uniti il 13 giugno, dopo oltre 17 mesi di detenzione in Corea del Nord. Le autorità di Pyongyang avevano acconsentito alla liberazione di Warmbier per motivazioni «umanitarie», in seguito alla rivelazione pubblica delle condizioni di salute serissime in cui il “criminale” americano versava da chissà quanti mesi: coma causato da botulismo, dicono i nordcoreani; «ha preso un sonnifero e non si è svegliato più».

I fatti e quel viaggio “da brivido”

Otto Warmbier, a fine dicembre 2015, si trovava in Corea del Nord per un viaggio “col brivido” della durata di cinque giorni, promosso dalla Young Pioneer Tours, una delle principali agenzie turistiche occidentali registrate in Cina e operative a Nord del 38esimo parallelo che, dal 2008, promette «viaggi convenienti su mete dalle quali tua madre preferirebbe ti tenessi alla larga».
«Siamo famosi e referenziati come uno dei migliori tour operator in Corea del Nord grazie alla nostra esperienza impareggiabile, ai modi divertenti di fare le nostre cose e, soprattutto, agli ottimi rapporti nel paese; ciò fa di noi la migliore scelta per chi vuole visitare la Corea del Nord», si legge ancora oggi sul sito della compagnia, che nel frattempo ha però interrotto i propri servizi per i turisti statunitensi, a seguito di polemiche sulla presunta responsabilità delle guide turistiche nell’affare Warmbier.

Le sbronze, il poster “rubato”, l’arresto

In una lunga inchiesta pubblicata da Politico, Isaac Stone Fish ha riportato le ricostruzioni di alcuni compagni di viaggio di Warmbier; testimonianze che restituiscono un clima comune a tantissimi gruppi di giovani – guide o turisti – spericolati in Asia, convinti che all’uomo bianco in vacanza tutto possa essere concesso.
«Sembrava che sballarsi fosse la parte più consistente del lavoro, oltre che prendersi cura di noi». Durante il giorno, scrive Stone Fish, c’era una buona dose di «sobrietà e compostezza», ma la sera le guide occidentali «si mettevano a bere pesante». In questo clima di sbronza col brivido nel regime dittatoriale più chiuso della Terra, la notte di capodanno del 2015 le guide di YPT perdono di vista Otto Warmbier che, nelle prime ore del 2016, secondo le autorità nordcoreane viene ripreso da delle telecamere di sicurezza del Yanggakdo International Hotel mentre, nell’ala riservata al personale, stacca un poster della propaganda nordcoreana e lo ripone a terra. Nel video diffuso da Pyongyang, visionato da Anna Fifield del Washington Post, il viso del ragazzo occidentale è irriconoscibile. Il testo del poster recita: «Armiamoci con un forte socialismo».
Il 2 gennaio Warmbier viene fermato all’aeroporto di Pyongyang, dove col resto dei vacanzieri di YPT si stava imbarcando per Pechino, e trattenuto nel paese con l’accusa di generici “atti ostili”. Seguono giorni di “indagini” da parte delle autorità nordcoreane, compresa una conferenza stampa in cui Warmbier confessa in mondovisione un crimine «molto grave e premeditato», aver tentato di rubare un poster della propaganda che promuoveva «l’amore del popolo nordcoreano per il proprio sistema». A metà marzo del 2016, la Corte Suprema nordcoreana lo condanna a 15 anni di lavori forzati per aver voluto «danneggiare l’unità del popolo [nordcoreano] dopo essere entrato nel paese come turista», in linea con «la politica ostile del governo degli Stati Uniti contro la Corea del Nord».

La stranezza del caso Warmbier 

E fin qui, trattandosi del regime nordcoreano, siamo pienamente all’interno della strategia della propaganda interna: minacciare pene esemplari per fare pressioni sugli Stati Uniti; trattare per una visita “di alto profilo” a Pyongyang – come in passato Jimmy Carter e Bill Clinton – da far coincidere con la liberazione del prigioniero; usare la visita a fini propagandistici, “guardate gli occidentali che vengono qui a supplicarci”.
Anche se il caso specifico di Otto Warmbier non rientra nello standard nordcoreano.
Doug Bandow, senior fellow presso il Cato Institute ed ex assistente speciale del presidente Ronald Reagan, in un intervento pubblicato su National Interest spiega:

«Altri turisti sono stati sorpresi nell’atto di rubare oggetti della propaganda della Corea del Nord, ma nessuno è mai finito in carcere. Alcuni occidentali ben informati ritengono che la vera offesa [fatta da Otto Warmbier, ndr] fosse stata ben più solenne e umiliante per il Nord, un insulto calcolato al sistema nordcoreano e al leader supremo Kim Jong-un; l’incidente del poster era solo la storia di copertura».

Qualcosa è andato storto durante la detenzione

A differenza della maggioranza dei cittadini statunitensi arrestati da Pyongyang, in particolare per opere di evangelizzazione considerate illegali in Corea del Nord, le trattative per Warmbier non sembrano mai decollate. Coincidenza che la famiglia dello studente imputa alla dottrina della “pazienza strategica” dell’allora presidente Barack Obama ma che, a ben vedere, difficilmente può essere inserita in questioni di policy. Durante i due mandati di Obama alla Casa Bianca ci sono stati ben 13 casi di cittadini statunitensi arrestati in Corea del Nord; 11 sono stati liberati, ad esclusione di Kim Dong Chul – accusato di spionaggio e ancora detenuto – e di Otto Warmbier.
L’ipotesi più plausibile è che durante la detenzione di Warmbier qualcosa sia andato storto, facendo finire il prigioniero in coma e spingendo i servizi segreti nordcoreani a insabbiare tutto o a non riportare l’accaduto ai piani alti del regime.
Intervistato dal South China Morning Post, Stephan Haggard – direttore del Korea-Pacific Programme presso la University of California di San Diego, ha spiegato che con ogni probabilità anche il ministero degli esteri di Pyongyang non era al corrente delle condizioni di Warmbier e che, una volta emerse (secondo indiscrezioni, all’inizio di giugno 2017):
«Qualcuno deve essersi reso conto che il peggiore degli scenari sarebbe stato far morire il ragazzo durante la detenzione», iniziando in fretta e furia le trattative diplomatiche per il rilascio.
Tra le cause del presunto incidente sarebbe da escludersi il botulismo. I medici dell’ospedale di Cincinnati, lo scorso 15 giugno, avevano riscontrato una «diffusa perdita di tessuto cerebrale» che aveva fatto piombare Otto Warmbier in uno stato di «veglia vegetativa». Cosa abbia causato il trauma rimane un mistero. I medici ipotizzavano un arresto cardiaco, ma sicuramente non dovuto a torture o a violenze subìte durante la prigionia: sul corpo di Warmbier non c’erano segni di fratture.

Il corpo di Otto Warmbier, per volontà della famiglia, non è stato sottoposto all’autopsia.

L’impatto (nullo) sulle trame diplomatiche tra Usa e Cina

Offrendo le proprie condoglianze alla famiglia Warmbier, il presidente Donald Trump ha dichiarato che «gli Stati Uniti condannano ancora una volta la brutalità del regime nordcoreano e ne piangono l’ennesima vittima», mentre nel paese si moltiplicano gli appelli per una rappresaglia esemplare contro Pyongyang, a partire dall’esclusione del dialogo come ipotesi risolutiva della crisi e allo stop del flusso turistico dagli Usa verso la Corea del Nord.
Nonostante l’eccezionale crudeltà del caso Warmbier abbia scosso l’opinione pubblica internazionale e abbia ulteriormente complicato il rapporto tra Trump e la Corea del Nord, sembra che nulla sia cambiato nelle trame diplomatiche che coinvolgono Stati Uniti e Cina, da mesi impegnati in un braccio di ferro sulle modalità di gestione della crisi coreana.
A seguito di un meeting di alto livello tenutosi a Washington tra il segretario di Stato Rex Tillerson, il segretario alla difesa Jim Mattis, il capo della diplomazia cinese Yang Jiechi e il generale dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese Fang Fenghui, le delegazioni hanno raggiunto un’intesa rispetto all’ impegno alla «completa, verificabile e irreversibile denuclearizzazione della penisola coreana». Segno che, nonostante i falchi a stelle e strisce, le trattative sull’asse Washington – Pechino sono ancora in corso.

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