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mer 10 maggio 2017

BUDAPEST GENTRIFICATA NON DIMENTICA IL SUO PASSATO

Questa è la piccola storia di una trasformazione urbana, iniziata negli anni Novanta, appena caduto il Muro. La gentrification a Budapest è stata chiamata "riqualificazione", "riabilitazione", "ricostruzione" e ha interessato principalmente il centro e il quartiere di Ferencváros. Il processo è ancora in corso, qua e là si incontrano ex strutture industriali convertite in altro: il segno di un mutamento che non cancella del tutto il passato, e almeno non se ne vergogna.

La gentrification ha affondato le mani e rovesciato Budapest negli anni Novanta. Quando il Muro era caduto, il post-socialismo offriva caos e opportunità, capitali e speculazioni private trovavano finalmente la strada libera.
Il processo ha riguardato, in forme diverse, l’intero centro di Budapest. Ma soprattutto nel caso del quartiere di Ferencváros, e in particolare nella parte mediana del quartiere, ha avuto un impatto significativo: per la scala, per la coerenza dell’intervento e per la sua violenza.
Ferencváros nasce alla fine del Settecento come sobborgo meridionale di Pest, sulla costa orientale del Danubio. Se “város” significa città, “Ferenc” è il Francesco che regnava sull’Ungheria del tempo.
Quartiere a vocazione industriale: nelle funzioni, nella composizione dei suoi abitanti e nelle architetture. Gli edifici e gli alloggi di qualità scadente, costruiti a metà Ottocento per gli operai, sono in diversi casi rimasti in piedi anche dopo la Seconda guerra mondiale e abitati ancora negli anni Settanta del Novecento.
Quartiere anche piuttosto eterogeneo, diviso in tre sottoquartieri: l’Inner Ferencváros, il Central Ferencváros (“Középső-Ferencváros” in ungherese) e l’Outer Ferencváros. In particolare ci concentreremo sul secondo, il caso più interessante: per quasi tutta la sua storia un territorio abbandonato ai margini, in quest’ultimo trentennio invece al centro di una rivoluzione.
Sopra al Central Ferencváros, da dopo la guerra, pesava come una spada di Damocle l’idea costante di demolire per ricostruire, che dava all’amministrazione l’alibi per non occuparsene. Nel 1970 un piano urbanistico cittadino metteva nel mirino questa e altre zone residenziali fuori dal Grand Boulevard, uno degli assi principali di Pest: appunto demolire edifici per costruirne di nuovi più moderni e funzionali. Sarà un passaggio a vuoto, ma l’idea costante si concretizzerà alcuni anni dopo. Nel frattempo viene abbattuto il Muro e l’Ungheria si converte all’economia di mercato.

Gli anni Novanta di Budapest: una riqualificazione chiamata gentrification

Negli anni Ottanta, Ferencváros è un quartiere popolare, con una forte connotazione operaia. Oggi ha decisamente hype, con la forte presenza middle-class di giovani famiglie e creativi, una scena artistica vivace, ristoranti e locali sulla Ráday utca, la strada pedonale tutta orientata alla cultura.
A segnare il cambio di passo sono soprattutto i primi anni Novanta, appena caduto il Muro. Il progetto urbanistico parla di “Riabilitazione di Ferencváros” ed è coordinato dal municipio ma coinvolge costruttori e investitori privati.
La cosiddetta riqualificazione dell’area aveva già avuto inizio, in verità, con una prima fase (1986-1992) guidata dal governo ungherese insieme all’amministrazione comunale. E ci sarebbe poi stata una terza fase, negli anni Zero, dove gli attori privati sarebbero diventati ancora più protagonisti.
I cambiamenti principali investono la zona del Central Ferencváros. L’obiettivo è rovesciare l’assunto dei decenni socialisti: non quantità ma qualità degli alloggi.
Così, centinaia di edifici vengono rinnovati massicciamente, centinaia di appartamenti (di solito: una stanza, una cucina e nessun bagno) vengono demoliti, insieme agli edifici che li contengono. E vengono costruiti migliaia di nuovi appartamenti: quasi tutti destinati al mercato, solo una manciata per il social housing. A salvarsi sono gli edifici storici, che nessuno ha l’autorizzazione di toccare.
Tutto questo sconvolge la composizione degli abitanti del quartiere. Una buona parte dei vecchi residenti deve lasciare Középső-Ferencváros, perché non può permettersi i prezzi di mercato. La casa è stata distrutta, a disposizione ci sono due alternative: ricevere in cambio dei soldi (proporzionati all’appartamento che lasciano) o una casa popolare, naturalmente altrove.
Insieme agli interventi sugli alloggi, la trasformazione riguarda le infrastrutture e i servizi. Arrivano giardini pubblici, strade pedonali, esercizi che si orientano al sole della cultura e dello shopping.
La “Riabilitazione” vince il prestigioso premio FIABCI – Prix d’Excellence.
Tra il 1994 e il 2004 il numero di caffé e ristoranti del quartiere passa da 39 a 133. Negli anni Zero, viene tirata su una zona, il Milleniumi Városközpont, affacciata in parte sul Danubio, dove convivono residenziale e uffici. Al tempo stesso la minoranza rom viene espulsa in modo graduale e inesorabile. La squadra di calcio del Ferencváros, la più celebre d’Ungheria, dal 2013 ha un allenatore tedesco e prestigioso come Thomas Doll, e dal 2014 gioca in uno stadio nuovo e modernissimo.
Nell’immaginario di oggi, la trasformazione di Ferencváros è già avvenuta. Non a caso si era parlato di spostare qui la sede della Central European University, fondata da Soros nel 1991, prima che l’approvazione della legge, voluta dal premier Orbán in funzione anti-europeista, prevedesse di chiudere nel 2021 l’università di Budapest più orientata alla dimensione internazionale.
Il processo di gentrification comunque si direbbe in corso, non ancora concluso. I prezzi degli alloggi e dei locali commerciali non sono esplosi del tutto. Resistono sacche di abitanti che appartengono ai ceti inferiori e non se ne vanno. Qua e là si incontrano ex strutture industriali, convertite in altro, e forse è il segno di una trasformazione che non cancella del tutto il passato, e almeno non se ne vergogna.
La gentrification vista da i diavoli:
  • Lipsia, “la nuova Berlino”
  • Roma Ovest sul filo della gentrification
  • San Salvario, la storia di una trasformazione
  • El Raval: l’altra faccia della gentrification
  • Amburgo: storia di una città ribelle e gentrificata
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