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mer 20 dicembre 2017

BREXIT, MAY E LA STRATEGIA DEL SOTTOMARINO

Un divorzio privilegiato per gli interessi della City e per il commercio è quello a cui punta la premier britannica. Ma l’Unione europea non ha alcuna intenzione di fare concessioni speciali. Bruxelles non permetterà che il Regno Unito possa stringere nuovi accordi commerciali con Paesi terzi, e non solo. Le contraddizioni e le omissioni della versione di Theresa.

“L’Inghilterra della deindustrializzazione e dei servizi finanziari, delle start-up e del sistema educativo meritocratico ma riservato ai milionari, l’Inghilterra dei minatori sconfitti e della società che non esiste. Una copia degli Stati Uniti, ma senza il potere. Thatcher e Reagan, Blair e Clinton, le guerre stupide, la City e Wall Street: sempre paralleli, sempre convergenti.” Da: L’esercito degli invisibili: UK ai tempi del Brexit – Il Tredicesimo Piano

La versione di Theresa

“Un accordo ambizioso” con l’Unione europea sulla Brexit. È domenica 17 dicembre e Theresa May fa ripartire la sua battaglia sui negoziati per il divorzio di Londra da Bruxelles. Questa volta a tutta pagina, sulle edizioni domenicali dei quotidiani più vicini ai Tories: il Sunday Telegraph e il Sunday Express. Toni trionfalistici annunciano che l’”ambizione e creatività” di Downing Street non ha limiti.

La ex ragazza diligente delle contee d’Inghilterra sceglie per una volta la tattica dell’offensiva mediatica, fuori sincrono rispetto alla sua “strategia del sottomarino”. Lei, la premier di una Gran Bretagna divisa e disuguale, ha tutta l’intenzione di trattare per un periodo di transizione “strettamente limitato nel tempo e durante il quale noi non saremo più nel mercato unico né nell’unione doganale, avendo lasciato l’Ue”. Né hard né soft: per May la Brexit sarà “liscia” in particolare per “famiglie e imprenditori”.

L’idea è quella di mantenere “l’accesso” al mercato Ue, prima di stabilire una “futura partnership”. Perché – le parole sono sempre della premier britannica – il piano è di “preparare la politica commerciale” del dopo separazione, che nei fatti significherebbe “negoziare, e dove possibile firmare, accordi sul commercio con Paesi terzi”, che – sempre secondo il programma di Londra – “potranno entrare in vigore dopo la conclusione” dei due anni di transizione. E i cittadini? I nuovi arrivi di cittadini Ue saranno registrati in vista di un nuovo sistema per il controllo dell’immigrazione.

Le omissioni sulla batosta subìta

May sorvola su quella che il Guardian ha definito una “sconfitta umiliante”, “un ammutinamento ai Comuni” secondo il Telegraph, “una vendetta dei ribelli” vista dal Times. Il 14 dicembre il governo è stato battuto alla Camera dei Comuni (309 i voti a favore, 305 i contrari) su un emendamento al Withdrawal Bill per la Brexit, presentato da quindici conservatori “ribelli” (guidati dal conservatore per il Remain Dominic Grieve) e sostenuto dal Labour.

L’emendamento prevede un voto obbligatorio in Parlamento sulla futura intesa con Bruxelles riguardo ai termini dell’uscita di Londra. E non è finita qui, perché Grieve ha già minacciato un secondo schiaffo per il governo se la premier non farà marcia indietro sulla deadline del 29 marzo 2019 per la Brexit.
“Un gioco delle parti, il teatro inglese. Roba da buffoni. La politica ridotta a parodia, come questa “battaglia navale” sul Tamigi, che è farsa e tragedia insieme. La caricatura della storia britannica, delle scorrerie di Francis Drake intorno al globo e del trionfo sull’Armada Invencible. Uno scontro che ha cambiato il verso alla storia dell’Europa, e del mondo. Adesso resta solo questa caricatura di naumachia” Da: Brexit: battaglia navale – Il Tredicesimo Piano

La versione Ue

“Non sono negoziabili le condizioni per accedere al mercato unico, ogni accordo con Stati non Ue ha il proprio equilibrio di diritti e di obblighi. La soluzione per non avere frizioni nei commerci è stare nel mercato unico, sotto questo profilo l’unico modello possibile è Norvegia-plus. Ma se si rifiuta la libertà di circolazione non si può far parte dello spazio economico europeo”. Le parole sono di Michel Barnier, capo negoziatore europeo per la Brexit, in una recente intervista al Messaggero.

Il ragionamento è il seguente: “Lasciando il mercato unico, il settore finanziario britannico perde automaticamente il passaporto finanziario” e quindi il permesso di muoversi in uno Stato europeo.

L’Unione europea non ha alcuna intenzione di concedere un divorzio privilegiato a Londra. Nonostante gli auspici della May, Bruxelles non permetterà che il Regno Unito possa stringere nuovi accordi commerciali con Paesi terzi. E neanche che gli interessi della City siano protagonisti delle trattative.

Le banche. Nessuna fuga da Londra

A dispetto delle previsioni, almeno secondo il Financial Times, non ci sarà nessuna fuga dalla City per le grandi banche causa Brexit. Stando ai calcoli riportati dal quotidiano economico ci sarebbe in ballo lo spostamento del 6 percento del personale, ovvero 4600 lavoratori e non decine di migliaia come si era detto in precedenza.

Se per Hsbc si parla di quasi 1000 dipendenti, l’ipotesi per Deutsche Bank, per esempio, sarebbe il trasferimento di massimo 300, così come per Goldman Sachs. Sarebbe pari a 200 persone, invece, la cifra ventilata per Jp Morgan.

Le contraddizioni

Come scrivevamo qui, sovranismo è stata la parola d’ordine di chi ha combattuto per la Brexit, dunque: niente più accordi commerciali elaborati in collettiva Ue; libertà totale rispetto alle decisioni della Corte di giustizia europea; una politica fiscale autonoma; gestione sovrana delle questioni legate all’immigrazione.

C’è un ma: il fiscal dumping è la grande minaccia di May agli euroburocrati, (e non solo). Ed ecco il paradosso di cui parlavamo: se le banche della City perderanno la licenza di operare in Europa, a quel punto Londra giocherà la sua carta e proverà a richiamare i capitali europei attraverso le agevolazioni fiscali.
“Oggi, UK rappresenta una delle mete privilegiate. Su scala globale, a questa forza centrifuga ne corrisponde una centripeta e attrattiva. Dovete pensare Londra come una calamita capace di attirare capitali esteri su scala planetaria, grazie a una burocrazia snella e a una scarsa regolamentazione”. Da Brexit tra turisti del welfare e turismo del capitale – Il Tredicesimo piano.

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