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ven 21 settembre 2018

LE BIG TECH ALLA CONQUISTA DELLO SPAZIO

Dalla borghesia mercantile al capitalismo delle piattaforme, le Compagnie delle Indie odierne sono le Big Tech di Silicon Valley: le nuove multinazionali che da sole valgono quanto e più il Pil della Gran Bretagna o della Francia e che, in questi giorni, hanno superato i mille miliardi di capitalizzazione in borsa. Sono loro che hanno lanciato la sfida della conquista del cosmo, quello spazio esterno non ancora colonizzato che, secondo Rosa Luxemburg, è necessario al Capitale per superare il virus della crisi iscritto nei suoi geni.

For here am I sitting in a tin can Far above the world Planet Earth is blue And there’s nothing I can do (David Bowie)
Karl Marx scriveva nel primo libro del Capitale che l’uomo modifica la propria natura a seconda delle relazioni materiali che svolge con l’ambiente che lo circonda. Se muta l’ecosistema con cui l’uomo interagisce attraverso il lavoro, muta il corpo.
Detto che gli appassionati del genere sono convinti di trovarne rappresentazioni, più o meno allegoriche, nelle antiche pitture rupestri come in famosi dipinti rinascimentali, dagli anni Cinquanta dello scorso secolo – quando comincia la corsa allo spazio e a combattere la Guerra Fredda sono Sputnik e Apollo, Saljut e Skylab – diviene predominante un preciso normotipo antropomorfo dell’alieno.
Non è difficile leggere in questa ultima e per ora definitiva icona, la prominenza del cranio a discapito del resto del corpo, la perdita del naso/olfatto a favore degli occhi/vista, una proiezione non tanto dell’extraterrestre quanto dell’uomo nuovo: sempre meno dedito al lavoro manuale (destinato alle macchine) e più a quello cognitivo; sempre meno bisognoso di recepire odori per fiutare il pericolo e più incline, invece, a selezionare le immagini che lo circondano.
Un uomo modellato da nuove attività da svolgere nel nuovo ambiente. La terra del futuro. O forse, più probabilmente, lo spazio interstellare.
Non c’è dubbio infatti che l’uomo, dopo una breve stagione di colonizzazione spaziale andata di pari passo con le lotte anticoloniali sulla terra, stia ora cercando di umanizzare il cosmo.
Dalla borghesia mercantile al capitalismo delle piattaforme, le Compagnie delle Indie odierne sono le Big Tech di Silicon Valley: le nuove multinazionali che da sole valgono quanto e più il Pil della Gran Bretagna o della Francia e che, in questi giorni, hanno superato i mille miliardi di capitalizzazione in borsa.
Sono loro che hanno lanciato la sfida della conquista del cosmo, quello spazio esterno non ancora colonizzato che, secondo Rosa Luxemburg, è necessario al Capitale per superare il virus della crisi iscritto nei suoi geni.
Paradigmatica di questa sovrapposizione tra il nuovo e il vecchio capitalismo estrattivista è la Planetary Resource Inc. di cui è founding investor Larry Page, l’inventore (insieme a Sergey Brin) di Google.
Planetary Resources per ora si limita a lanciare in orbita satelliti e piattaforme, ma lo scopo è di arrivare al più presto a estrarre minerali da pianeti e asteroidi. Se nell’idea della campagna su Marte su scorge un nuovo Congo Belga, speriamo che il fondatore di Google non riservi ai marziani la stessa feroce e disumana crudeltà che Leopoldo II utilizzava nei confronti della popolazione africana.
Ma non c’è bisogno di arrivare a tanto. Forse nemmeno di arrivare a estrarre materiali alieni in giro per la Via Lattea.
Il core business del capitalismo delle piattaforme è infatti l’estrattivismo digitale, la raccolta dei Big Data – tutte i nostri movimenti in rete, cosa ci piace, cosa guardiamo, leggiamo, ascoltiamo, con chi interagiamo e dove ci soffermiamo più a lungo – con la duplice funzione disciplinare e biopolitica, di controllo e previsione dei desideri.
I Big Data servono poi allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ovvero di macchinari sempre più in grado di replicare le emozioni e le scelte umane, di sostituirsi all’élan vital umano.
Ecco perché se Google, in attesa di estrarre terra rossa da Marte, costruisce satelliti in grado di monitorare ancora di più la popolazione, il guadagno è immediato.
È innovazione militare in abiti civili, messa al lavoro dai nuovi padroni del mondo e dai loro eserciti di algoritmi.
Ma non sono solo i satelliti, nodo fondamentale delle reti di comunicazione e di schedatura planetaria. O i sistemi di lancio spaziale della Stratolaunch Systems di Paul Allen (cofondatore con Bill Gates della Microsoft). O le rotte da esplorare del progetto Breakthrough Starshot finanziato da Mark Zuckerberg (Facebook).
Le nuove aziende aerospaziali in mano ai fondatori delle Big Tech puntano tutto sulla colonizzazione di lusso: organizzare viaggi esotici nel cosmo per pochissimi eletti, i superstiti della peggiore crisi di accumulazione del Capitale. Un Westworld reale, insomma, e dislocato nello spazio.
Mentre la NASA e la European Space Agency rallentano, posticipano a un futuro indeterminato antichi piani di colonizzazione interstellare, le multinazionali della tecnologia si sfidano a colpi di innovazione e promesse di futuri lontanissimi
Ecco allora la Virgin Galactic di Richard Branson (Virgin). La Space X di Elon Musk (PayPal e, soprattutto, Tesla). E la Blue Origin di Jeff Bezos (Amazon). Unire l’utile al dilettevole, combinare la guerra dei Big Data per l’intelligenza artificiale – ciascuna di queste compagnie lavora con, o ha tra i suoi azionisti, eserciti e/o fondi sovrani – ai sogni di adolescenti che negli anni Settanta e Ottanta sono cresciuti a pane e ultraliberismo.
Mentre intorno a loro le molotov s’incendiavano di utopie libertarie, questi figli delle stelle e pronipoti del dio denaro si tumulavano per infinite sessioni di Star Trek e Star Wars e gettavano le basi per l’ultimo stadio del capitalismo: la Silicon Valley.
È qui che ritorna il nodo della mutazione genetica dell’uomo nel cosmo, nei sogni di nerd cresciuti con il mito delle astronavi e dei razzi spaziali che, raggiunta la posizione di dominio, possono finalmente uscire dai loro bunker a riveder le stelle.
Quella sorta di alienazione a lungo termine come ultima possibilità di sopravvivenza dell’1% più ricco della popolazione, che Don De Lillo in Zero K individuava nella criogenesi, sembra quindi destinata a tradursi in un’alienazione spaziale eterna.
Nell’uomo nuovo e sopravvissuto che si fa alieno. E, finalmente lontano dalla terra, sarà un ominide con le sembianze trasfigurate di Richard Branson, Elon Musk e Jeff Bezos.

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