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MONITOR


ven 25 novembre 2016

UN ANNO DA VIVERE PERICOLOSAMENTE

Quali saranno le prossime mosse della Banca centrale europea? Monta l'attesa in vista dell'8 dicembre. La partita si giocherà sui limiti. E come nelle arti marziali, un punto di debolezza può essere rovesciato in un elemento di forza. L’autonomia espansiva della BCE cozza contro il tetto rappresentato dalle regole tecniche del Quantitative easing

«Il QE europeo è politico: anche – e soprattutto – perché ristabilisce nuove condizioni nell’equilibrio debitorio tra Paesi. Comincia a introdurre quel “comune” che dall’altra parte della Manica è sempre mancato. Spinge i rendimenti dei titoli al ribasso, e tenta la difesa dei debiti pubblici. Costringe gli investitori, o i “corsari”, verso investimenti che dovrebbero stimolare l’economia reale e la crescita. Mah, vedremo se sarà davvero così…» da Il Qe come religione – Il Tredicesimo piano
In attesa dell’8 dicembre, giorno in cui si riunirà il Consiglio direttivo della Banca centrale europea, monta l’attesa per le prossime mosse dell’Eurotower. Sul piatto ci sono questioni cruciali, a partire dall’estensione di quel Quantitative easing, varato nel marzo del 2015, che ha portato all’immissione nelle arterie del sistema di 60 milardi di euro al mese (divenuti poi 80) per venti mesi e al conseguente acquisto di titoli di debito, pubblici e privati.
Gli analisti sono concordi nel prevedere l’estensione del programma. A risultare incerte sono le modalità dell’allungamento: ovvero, cosa verrà acquistato dalla BCE, come e per quanto tempo.
Va ricordato che l’acquisto è soggetto a precise regole tecniche autoimposte e intrinseche allo statuto del Qe. La BCE, infatti, non può comprare titoli di Stato con assoluta discrezionalità, bensì deve rispettare alcune prescrizioni tra cui determinati parametri di rendimento dei titoli oppure il criterio della capital key che fissa una proporzionalità d’acquisto in rapporto a ciascun Paese.
In altri termini, non si possono comprare più BTP che Bund, perché la quota di capitale detenuta dalla Germania nel capitale della BCE è maggiore di quella detenuta dall’Italia. Questi vincoli hanno finito per produrre una condizione di “scarsità”: diversi bond, infatti, per mancanza di requisiti escono dalla platea di ciò che può essere comprato.
Ecco dov’è probabile che si giocherà la partita: proprio sui limiti. E come nelle arti marziali, un punto di debolezza può essere rovesciato in un elemento di forza. L’autonomia espansiva della BCE cozza contro il tetto rappresentato dalle regole tecniche del Qe. La rimozione di quel tetto è prioritaria per protrarre l’intervento dell’Eurotower. Ma le modalità con cui oltrepassare i limiti fanno la differenza.

Da queste premesse è possibile tracciare tre scenari distinti.

Il primo presuppone un intervento circoscritto, più “neutro”, riservato a una revisione di alcuni parametri: ad esempio, all’allungamento dei tempi d’acquisto lasciando inalterati i volumi dei titoli. È quello che potremmo chiamare il “programma minimo” orientato a operare sulla variabile temporale.
Il secondo scenario ipotizza che all’estensione del periodo di acquisto corrisponda una diminuzione delle quantità di bond comprati. È quello che in gergo viene chiamato “tapering”: cioè, l’uscita graduale dal Quantitative easing sulla falsariga di ciò che ha fatto la Federal Reserve Bank.
In entrambi i casi la BCE eserciterebbe un’azione limitata, oltre i limiti del perimetro, ma senza operare uno slittamento di piano.
Il terzo scenario, invece, è senza dubbio quello più stimolante perché evoca la natura profonda del dispositivo elaborato dall’Eurotower a partire dal 2015. Non può sfuggire, infatti, la particolare congiuntura in cui andrebbe manifestandosi l’intervento di Francoforte: cioè, quella stagione cominciata con la Brexit che vede l’Europa entrare in una campagna elettorale permanente.
Le consultazioni in Austria, Olanda, Francia e Germania, che fino all’autunno del 2017 scandiranno la vita politica continentale, rendono decisivo il momento: un anno da vivere pericolosamente, mentre l’incertezza legata al montare dell’ondata “anti-sistema” – all’avanzare delle forze cosiddette “populiste” – esige risposte precise.
Il tempo, dunque, non è più solo una delle principali variabili della politica monetaria espansiva, ma torna a essere il principale attributo della politica. Da parte sua, il diavolo – oggi come ieri – è nei dettagli. E in questo caso i dettagli sono le regole tecniche del Qe.
Nell’ultima proiezione si ipotizza che – sfruttando il tetto dei parametri autoimposti, adducendo sottilmente la necessità di risolvere la questione della scarcity, trasformando il limite in leva e il problema in occasione – l’Eurotower riveda i vincoli della propria azione. Ovvero, aumenti la quota corporate (obbligazioni di aziende private) come argine a difesa degli spread periferici e deroghi parzialmente al principio della capital key.
L’obiettivo sarebbe quello d’intervenire a difesa della periferia continentale al fine di contenere eventuali, pericolose turbolenze, facendo passare – grazie al cavallo di Troia della “tecnica” – la sostanza di un intervento politico. E se il tempo è tutto, sui mercati come in politica, non può sfuggire la concomitanza di certe date: ad esempio, il fatto che la riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea segua di soli quattro giorni il referendum in Italia, passaggio fondamentale per la definizione degli equilibri continentali.
Che il vero problema sia di natura politica, lo certifica anche l’ultimo rapporto della BCE, pubblicato ieri, in cui si fa esplicito riferimento al clima d’incertezza legato alle ripetute scadenze elettorali.
In gioco, dunque, c’è ancora una volta il grande motivo che ha segnato gli anni Dieci: il rapporto tra politiche monetarie e incognite della politica. Se fino al 2015, le banche centrali hanno svolto una funzione di supplenza, occupando la sede lasciata vacante dalle istituzioni e colmando il vuoto di risposte davanti al sisma dei debiti sovrani, oggi quest’intervento potrebbe assumere la funzione di barriera invisibile per contenere gli effetti dell’ascesa delle forze “anti-establishment”.
«Per deterritorializzazione intendo la distruzione della norma, che nei mercati vuol dire abbattere le consuetudini concettuali, vuol dire far esplodere le bolle, pensi ad esempio alla deflagrazione dei mutui subprime e al disastro che ciò ha prodotto a livello globale. Per riterritorializzazione intendo invece la costruzione di una nuova norma, fondata su mercati efficienti. Ad esempio? L’intervento delle Banche Centrali con conseguente Quantitative Easing. Si tratta di due fasi distinte nelle quali gli attori cambiano: nella prima fase a prevalere è la furia distruttrice del mercato libero; nella seconda la forza restauratrice della politica ovvero del regolatore, inteso come figura paterna che ripristina l’ecosistema perfetto.» da Bang Bank – Il Tredicesimo piano

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