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MONITOR


mer 31 agosto 2016

APPLE SOTTO I COLPI UE. UNA TRADE WAR FRA LE SPONDE DELL’ATLANTICO?

«Le inchieste, e quelle in corso da tempo su Amazon in Lussemburgo e Apple in Irlanda… Davanti alle auto che si trascinano sul Lungotevere, davanti ai platani che perdono le foglie, penso che se aggiungo il caso Volkswagen riesco a vedere una guerra commerciale a colpi di sentenze. In Europa attaccano alcune platform tecnologiche, in America rispondono con lo scandalo delle emissioni. Una guerra invisibile, combattuta sopra le teste di milioni di lavoratori. E gli effetti si abbattono come una valanga sulle vite di troppa gente.» Da La Dolce Vita delle multinazionali. Il Tredicesimo piano
Da un lato c’è Apple, dall’altro la Commissione europea: quella che corre in mezzo potrebbe avere i tratti di una guerra commercialefatta di sentenze e paletti fiscali, di una trade war da una sponda all’altra dell’Atlantico.

I fatti

È il 30 agosto 2016. Un comunicato della Commissione Ue annuncia la bacchettata europea contro l’azienda di Cupertino: «La Commissione europea ha concluso che l’Irlanda ha concesso ad Apple vantaggi fiscali indebiti per un totale di 13 miliardi di euro. Tale trattamento è illegale ai sensi delle norme UE sugli aiuti di Stato poiché ha permesso ad Apple di versare molte meno imposte di altre imprese. L’Irlanda deve ora recuperare l’aiuto illegale».

La versione Ue

Al centro della questione ci sono, dunque, i vantaggi fiscali che l’Irlanda ha concesso a Apple e i benefici in termini di concorrenza che ne sono conseguiti. Secondo un’indagine della Commissione europea, avviata a giugno 2014, Dublino avrebbe così favorito Cupertino, abbassandone le tasse pagate dal 1991 in avanti. Oggetto d’esame europeo sono stati due ruling fiscali irlandesi, che – secondo l’Ue – «approvavano modalità di determinazione degli utili imponibili di due società di diritto irlandese appartenenti al gruppo Apple (Apple Sales International e Apple Operations Europe) non corrispondenti alla realtà economica».
C’è di più. Secondo i risultati dell’indagine la Commissione «la quasi totalità degli utili sulle vendite registrati dalle due società veniva imputata internamente a una “sede centrale”». E ancora: «Dall’analisi della Commissione è emerso che queste “sedi centrali” esistevano solo sulla carta e non potevano aver generato tali utili».
Quanto ha pagato effettivamente Apple? Secondo i conti fatti da Margrethe Vestager, commissaria europea responsabile per la Concorrenza: «Il trattamento selettivo di cui ha goduto ha infatti permesso ad Apple di pagare sugli utili europei un’aliquota effettiva dell’imposta sulle società pari all’1 per cento nel 2003, scesa poi fino allo 0,005 per cento del 2014». Il punto è che secondo le norme Ue sugli aiuti di Stato tutto ciò è illegale perché crea le condizioni per una concorrenza impari, visto che dà «un vantaggio considerevole rispetto ad altre imprese soggette alla stessa normativa tributaria nazionale».

Che succede ora

Secondo il regolamento europeo riguardante gli aiuti di Stato, adesso tocca a Dublino recuperare i soldi. Per questo non si tratta di una multa a Apple. In particolare, come spiega la Commissione stessa, l’Ue può «solo ordinare il recupero degli aiuti di Stato illegali per il decennio precedente la sua prima richiesta di informazioni al riguardo, che risale al 2013. L’Irlanda deve quindi recuperare da Apple le imposte non versate per il periodo a partire dal 2003, per un totale di 13 miliardi di euro più interessi. L’Irlanda però potrà scegliere se fare appello o meno alla Corte europea.

La reazione di Apple

In una lettera ai clienti europei, l’amministratore delegato di Apple ha replicato alla decisione europea: l’Ue «sostiene che l’Irlanda avrebbe riservato a Apple un trattamento speciale riguardante le imposte. È un’affermazione che non ha nessun fondamento nei fatti o nella legge. Noi non abbiamo mai chiesto, né tantomeno ricevuto, nessun trattamento speciale». E ancora: «Adesso siamo in una posizione anomala: ci viene ordinato di versare retroattivamente tasse aggiuntive a un governo che afferma che non gli dobbiamo niente più di quanto abbiamo già pagato». Cook spiega che «negli anni, ci siamo avvalsi delle indicazioni delle autorità irlandesi per rispettare le normative fiscali del Paese, le stesse indicazioni che qualsiasi azienda attiva in Irlanda ha a disposizione».
Dov’è il problema? Tra le righe, Cook tocca il tasto dolente: ovvero la tassazione delle multinazionali, tra Europa e Stati Uniti. «La tassazione per le aziende multinazionali è complessa, ma un principio fondamentale è riconosciuto in tutto il mondo: i profitti di un’azienda devono essere tassati nel Paese in cui si crea il valore. Apple, l’Irlanda e gli Stati Uniti tutti d’accordo su questo principio». Nel caso di Apple, continua ancora l’amministratore delegato, «la quasi totalità della nostra ricerca e lo sviluppo si svolge in California, per cui la stragrande maggioranza dei nostri profitti sono tassati negli Stati Uniti. Le imprese europee che operano negli Stati Uniti sono tassate in base allo stesso principio. Ma la Commissione ci sta chiedendo di cambiare retroattivamente queste norme».

Visti da Dublino

L’Irlanda, per bocca del ministro delle Finanze, Michael Noonan, protesta contro la posizione presa dalla Commissione europea. «Questa decisione non mi lascia altra scelta che cercare l’appoggio del governo per fare appello» alla Corte europea.

Gli Usa si mettono di traverso

La Casa Bianca, fa sapere il portavoce Josh Earnest, è «preoccupata» per il comportamento della Commissione. «Siamo preoccupati dall’approccio unilaterale che minaccia di minare i progressi fatti con gli europei per rendere giusto il sistema di tassazione internazionale». E ancora: «Quando dico giusto intendo giusto soprattutto per i contribuenti ma anche per le aziende che cercano di fare business nel mondo; alla fine dà benefici all’economia su ambo le sponde dell’Atlantico». Poi lancia una frecciata all’Europa: «Dovremmo continuare a fare progressi nel risolvere queste questioni insieme e non in modo unilaterale come nelle indagini sugli aiuti di stato».
Il Dipartimento del Tesoro americano fa notare che «le azioni della Commissione europea potrebbero minacciare gli investimenti stranieri, il clima degli affari in Europa, e l’importante spirito della partnership economica tra Usa e Ue».
«Diciamo che è meglio un sospetto in più, di uno in meno. Per quello che ho capito, vi siete stancati di svalutarvi le monete in faccia tra dollaro, euro e yuan. E a Manhattan avete avuto un’idea: una bella trade war contro le companies europee, mentre i cinesi iniziavano a consumare… Non so cosa sperate di ricavarci, da una guerra commerciale di questo tipo. Con la currency war e i QE, ti ricordo che guadagnavamo tanto in pochi. Adesso, col trade war, possiamo perdere tutti.» Da Crash test. Il Tredicesimo piano
È una guerra (ancora) impalpabile? Un affare che si muove sottotraccia tra Europa e Stati Uniti a colpi di export e commerci?

I precedenti

La vicenda Apple non tira in ballo solo l’Unione europea, ma trascina anche gli Stati Uniti. Se negli ultimi anni le aziende americane sono finite nel mirino dell’Antitrust d’Europa (da Google a Starbucks, passando per Amazon), proprio dagli Stati Uniti, a settembre 2015, è venuto fuori lo scandalo emissioni di Volkswagen.
«La velocità, l’ha salvato. Quando le agenzie hanno battuto le prime notizie sullo scandalo delle emissioni, ha venduto azioni Volkswagen come se bruciassero. Poteva costargli caro, poteva rimetterci una fortuna. Ora ce l’ha con la Germania. Demolisce il mito dell’efficienza tedesca. Spinge sull’acceleratore e accusa la miopia di chi punta solo sulle esportazioni. Dice che i Tedeschi farebbero qualsiasi cosa per piazzare le loro merci all’estero, e che hanno soffocato un continente comprimendo i salari e il mercato del lavoro.» Da Il Tredicesimo piano – il video

Il caso Volkswagen

Oggetto: motori diesel «truccati» per risultare meno inquinanti. A gennaio 2016 il Dipartimento di Giustizia di Washington presenta un’azione legale contro l’azienda automobilistica tedesca per «violazioni delle leggi» riguardanti l’aria pulita, con un rischio di sanzioni per 20 miliardi di dollari. Tradotto: la mossa è sembrata un gran colpo di coda a stelle e strisce contro la Germania votata alle esportazioni. A giugno, alla fine, è stato trovato un accordo. Avanti il prossimo.
«Nessuna matassa è inestricabile. Tutto comincia e si conclude con un filo. Basta trovare quello giusto. “Trade War” è solo un modo di vedere e chiamare le cose. Il modo di chi guarda tutto dall’alto, come il personaggio del film. Io non sto in alto e non mi sono immedesimato nel funambolo. Io sono uno coi piedi sulla strada e la testa in su, a guardare il numero sul filo. Io non trattengo il fiato, per i volteggi dell’uomo a 110 metri dal suolo.» Da La Dolce Vita delle multinazionali. Il Tredicesimo piano

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