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lun 22 gennaio 2018

ALPHAVILLE: RECINTARE LA FELICITÀ

Alphaville. Une étrange aventure de Lemmy Caution è un film di Jean-Luc Godard del 1965. Un noir ambientato nel futuro, dove un agente segreto va in missione nella capitale di un’altra galassia. Alphaville, appunto. La città è sottomessa a un computer, Alpha 60, che uniforma il comportamento degli abitanti, disumanizza, proibisce di fatto qualsiasi iniziativa individuale. Una decina di anni dopo l’uscita del film, c’è un’Alphaville sul pianeta Terra. Una gated community, auto-segregazione di classe, al fine di recintare la felicità.

Alphaville. Une étrange aventure de Lemmy Caution è un film di Jean-Luc Godard del 1965. Un noir ambientato nel futuro, dove un agente segreto va in missione nella capitale di un’altra galassia. Alphaville, appunto. La città è sottomessa a un computer, Alpha 60, che uniforma il comportamento degli abitanti, disumanizza, proibisce di fatto qualsiasi iniziativa individuale.
 Una decina di anni dopo l’uscita del film, c’è un’Alphaville sul pianeta Terra. Nasce a metà degli anni Settanta, prospera negli anni seguenti. Viene considerata un’oasi dove si combinano sicurezza e libertà individuale. Viverci diventa sempre più uno status symbol.
Il contesto è importante per capire l’operazione: il regime militare, naturalmente; il clima di insicurezza a San Paolo nell’ultimo quarto del Novecento; la pesante inflazione dell’economia brasiliana (fino agli incredibili livelli a ridosso del 1994) .

Circa trentamila abitanti. 33 aree recintate. Tre piste per elicotteri. Migliaia di uffici. 11 scuole e un’università. E poi centri benessere, verde, campi sportivi di ogni tipo.

Alphaville non è solo un quartiere esclusivo ma una vera cittadella del privilegio. Una super-gated community. Un condomínio fechadofuori misura.
Le immagini-chiave per rappresentarla sono concentrate nei trenta secondi di uno spot: i bambini corrono felici, le famiglie mangiano sul prato, gli uomini giocano a golf, mentre un articolato sistema difensivo (telecamere, recinzioni elettriche, ronde di guardie private) protegge dalle minacce esterne.
Dietro ad Alphaville c’è un’impresa, Alphaville Urbanismo, creata dagli ingegneri civili Renato de Albuquerque e Yojiro Takaoka.

L’area scelta per costruire è una trentina di chilometri a nord-ovest di San Paolo, la grande megalopoli del Sud America, una delle città più popolose al mondo. Se le favelas si alzano alla periferia della città perché ne sono scacciate, i sobborghi come Alphaville sono insediamenti per chi sceglie di allontanarsi.
Uno degli slogan per promuovere l’iniziativa è: “La libertà non ha prezzo ma ha un indirizzo: Alphaville”.
Alla fine del Novecento il tasso di insicurezza a San Paolo cresce vertiginosamente. I benestanti considerano sempre più spesso le strade come nemiche.

I casi di criminalità aumentano negli anni Ottanta, alla fine dei Novanta il tentato rapimento del figlio di un banchiere attiva una psicosi. Elicotteri privati sorvolano il grande caos e tirano fuori dal problema chi può permetterseli.

 Alphaville sorge in una zona divisa amministrativamente tra Santana de Parnaíba e Barueri. Entrambi i comuni beneficiano dei proventi delle tasse che gravano su Alphaville. Alle ottime scuole pubbliche di Alphaville hanno accesso anche i residenti dei comuni di Santana de Parnaíba e Barueri. Una spinta autonomista, per sganciarsi e diventare un comune a sé, è stata quindi fermamente bloccata dai politici locali.
Un muro di oltre sessanta chilometri circonda Alphaville. Quasi mille agenti la sorvegliano. Un fortino militare. O una gigantesca bolla che non riceve segnali dal mondo esterno. Comunque un’auto-segregazione di classe.
Perché man mano la classe media e i benestanti di San Paolo vengono attirati e popolano questo luogo di distinzione. Vanno a raggiungere il target di partenza: i dirigenti del nuovo complesso industriale che veniva costruito poco lontano da Alphaville nello stesso periodo.
Le disuguaglianze esistono, ovviamente, anche all’interno della cittadella.
L’assenza di mezzi pubblici e biciclette, dovuta al tipo di strade che percorrono Alphaville, rende quasi fondamentale il mezzo privato. Auto sportive, auto comuni per non attirare l’attenzione, auto con vetri oscurati e pannelli antiproiettile. Chi non ce l’ha, deve coprire lunghe distanze a piedi. Gli addetti alle pulizie, le guardie private e i badanti, che si incamminano ogni giorno dai cancelli all’ingresso fino al luogo di lavoro. Ecco perciò la marcia dei lavoratori che ad Alphaville hanno un impiego ma non una casa.
Un sociologo brasiliano, José Reis dos Santos Filho, ha definito le gated community come “simboli di isolamento”. Se all’origine di Alphaville c’è il modello suburbano statunitense, a sua volta Alphaville è diventata un modello per diversi insediamenti in Brasile, che comunque non superano le dimensioni del primo. Anche questi vengono chiamati Alphaville.
L’Alpha greca è un modo colto per iniziare qualcosa e la villefrancese fa subito chic. Il nome di Alphaville, la prima città di un nuovo corso, è talmente impegnato a imbellettarsi da non accorgersi dell’auto-ironia nel richiamo al film di Godard. È quel tipo di paradosso buffo che non fa ridere.

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