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lun 18 aprile 2016

FALLIMENTI LA RIVOLUZIONE ALLE PORTE

Dopo Atlante arriva la riforma del diritto fallimentare: nuove regole e stretta sui tempi del recupero crediti

18 APRILE 2016 – Lunedì scorso è stato varato Atlante, il fondo salva-banche il cui obiettivo è di assicurare il successo degli aumenti di capitale degli istituti più fragili e acquistare pacchetti di sofferenze per sgravare i bilanci più esposti. La dotazione dovrebbe arrivare a 5-6 miliardi e le adesioni da parte di banche, compagnie di assicurazioni e altri enti istituzionali dovranno pervenire entro il 28 aprile. Per il settore creditizio italiano si apre dunque una settimana decisiva nel corso della quale è anche atteso il provvedimento del Governo sulla riforma del diritto fallimentare che dovrebbe istituire nuove norme sulle procedure e accelerare i tempi di incasso, oggi molto dilatati, dei crediti in difficoltà.

Le sofferenze sono endogene e intrinseche al business bancario italiano e una loro corretta valutazione risulta necessaria a tutti gli operatori. La dotazione patrimoniale del fondo Atlante, secondo quanto riportato nella bozza del progetto pubblicata nei giorni scorsi in esclusiva da Il Messaggero, sarà compresa tra i 3 e i 6 miliardi con utilizzo di leva finanziaria il cui valore è ancora da definire. Per avere un’idea della portata dell’operazione, si consideri che una leva di soli 0.5 punti porterebbe il fondo a 9 miliardi. Il valore destinabile alle due banche (Popolare di Vicenza e Veneto Banca) costituisce la gran parte dell’impegno iniziale dato che la sottoscrizione integrale del combinato disposto dei due aumenti di capitale annunciati, porterebbe ad un esborso di 2.75 miliardi. Rispetto agli obiettivi, dunque, il fondo potrebbe ancora contare su un residuo di 3.25 miliardi che messo a leva, come abbiamo appena visto, potrebbe facilmente raddoppiare. Nella partita entra sicuramente in gioco la questione sulla sopravvalutazione delle sofferenze bancarie che è stata ampiamente dibattuta nell’ultimo periodo. In sintesi si può dire che il problema può essere affrontato da due punti di vista: primo, quello cosiddetto di mercato, ovvero riconducibile ad un numero limitato di operatori che operano in una piazza poco trasparente in ragione della natura stessa dell’asset scambiato (crediti non performanti); secondo, quello delle banche e dei regolatori che hanno sostenuto e sostengono l’attuale copertura, visto che qualora gli accantonamenti si rivelassero artificialmente bassi, gli amministratori si esporrebbero a forti rischi legali, civili e penali.

Oltre a queste due differenti prospettive di valutazione, c’è da aggiungere un elemento discriminante: la dimensione dello stock accumulato dalle banche per effetto della crisi in questi sette anni è oggettivamente rilevante da un punto di vista operativo, economico, finanziario e patrimoniale. Per questo è condivisibile l’incoraggiamento espresso dalla Vigilanza Bancaria Europea e da altre istituzioni internazionali come l’FMI, le quali reputano opportuna una riduzione dello stock. Il nodo da sciogliere, tuttavia, non riguarda la ratio ma i tempi: chiunque abbia fretta di vendere, agevola l’acquirente. E se gli acquirenti sono pochi, come nel caso degli NPL, li si agevola ancor di più (vedi il caso delle quattro banche, “salvate” mentre sullo sfondo echeggiava lo spettro del fallimento). Ovviamente far discendere da una logica emergenziale il “giusto valore” avrebbe effetti devastanti dai quali, per fortuna, il sistema bancario italiano è stato salvaguardato finora (le numerose operazioni di cessione di crediti non performing nel 2015 ne sono una prova). Ma il punto è un altro: la presenza di un oligopolio tra gli acquirenti, comprovato dal ricorrere frequentissimo degli stessi nomi fra i compratori.

Quel che è certo è che grazie ad Atlante il salvataggio delle due banche venete non dovrà più essere oggetto di negoziazione con Bruxelles mentre l’intervento dello Stato potrà essere utilizzato come “opportunità di riserva” per tutti gli altri potenziali casi che Atlante non sarà in grado di finanziare. Di certo il fondo non può risolvere per intero il problema legato alle sofferenze bancarie, ma può dare un significativo contributo nella definizione del prezzo. Fra i tanti altri dubbi sollevati verso l’efficacia di Atlante, stupisce quello relativo alle possibili migrazioni delle attuali inadempienze in probabili sofferenze. Non è chiaro quale sia l’obiettivo di queste critiche, se si vuole una struttura bancaria priva di contenzioso, c’è una brutta notizia della quale tener conto: un sistema di questo tipo non esiste. Il problema sul tavolo oggi è quello di ridurre l’eccesso di stock di credito in contenzioso non di eliminarne la fisiologica generazione nel business bancario.

In conclusione, dunque, quali scenari il fondo Atlante apre per i correntisti? In quale modo i piccoli risparmiatori potranno in futuro mettersi al riparo da rischi e pericoli? Prima di tutto bisognerà superare la logica, tutta italiana, secondo la quale non onorare un debito nei confronti di una banca è un peccato meritevole di indulgenza, come se la perdita di quei soldi incidesse solo sul bilancio di quella banca. In secondo luogo occorrerà vigilare in maniera più stringente sui ritardi della pubblica amministrazione che sono fonte di un’asimmetria e un’ingiustizia non accettabili in un mondo civilizzato, e a maggior ragione in un Paese dove la PA pesa così tanto. E’ vero, non siamo stati capaci di capire per tempo quali modalità utilizzare, ma allora cosa si fa? Si rimane incastrati nel labirinto senza uscita del passato?

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