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lun 11 luglio 2016

PIANO UE SALVA-BANCHE O SARANNO GUAI

«Una cosa è chiara, le banche hanno bisogno di essere ricapitalizzate», serve un fondo da 150 miliardi per salvare gli istituti di credito. Tutte le alternative sarebbero più costose sul lungo periodo. A dirlo è David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank.

«DB is too big to fail», è troppo grande per fallire, salterebbe l’intero sistema finanziario del pianeta. Vede, se la Deutsche non fosse stata tedesca, si sarebbe già trasformata in un oggetto narrativo, protagonista di film, libri e documentari. Ma la Germania la salverà e finalmente finirà la stupida retorica sul divieto agli aiuti di Stato». Da “DB, troppo grande per fallire” – Il Tredicesimo Piano
Il problema è sistemico, l’Italia è solo un anello della catena. È un avvertimento che gli analisti ripetono da tempo come un mantra. Questa volta, però, accade che di «Europa malata» parli la Germania. «Una cosa è chiara, le banche hanno bisogno di essere ricapitalizzate», serve un fondo da 150 miliardi per salvare gli istituti di credito. Tutte le alternative sarebbero più costose sul lungo periodo. A dirlo è David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank. Ha 67 anni ed è uno degli analisti più influenti della Germania. Ma è anche uno dei più pessimisti, fa notare la Welt am Sonntag. «L’Europa è gravemente malata e ha bisogno di fronteggiare molto velocemente i problemi esistenti, o andrà a schiantarsi», presagisce. Tutto questo suona come una profezia, ma Folkerts-Landau fa presto a scollarsi di dosso qualsiasi etichetta: «Non sono un profeta di sventure, sono realista». E ancora: «Il declino delle banche è solo un sintomo di un problema molto più grande. L’Europa soffre, la crescita è debole, gli Stati hanno debiti enormi».

Il capo economista di Deutsche Bank non fa nessuna allusione alle preoccupazioni per DB o alle tossine finanziarie che porta in pancia. Nessun riferimento al vero tallone d’Achille di DB: non la liquidità, bensì il capitale. Nessun cenno alle preoccupazioni degli ultimi mesi, alle indagini per market manipulation, legata alla vendita di sette miliardi di titoli di Stato italiani nel 2011. Niente nemmeno riguardo al parere dell’Fmi che ha bollato DB come «fragile». «Al momento il problema non sono le singole banche, l’intero settore è sotto pressione. Se uno dei giocatori fallisce, per gli altri non c’è nessun vantaggio. Mette l’intero sistema sotto stress», dice Folkerts-Landau. Preferisce spostare l’accento sull’Italia: «Richiede particolare attenzione. Le banche sono indebolite e il referendum costituzionale d’autunno porterà maggiore incertezza politica». Evidentemente, però, anche le banche tedesche avrebbero bisogno del salvagente europeo.
Scomoda addirittura i marziani: «Se adesso qualcuno tornasse sulla terra dopo un viaggio di diversi anni su Marte, sarebbe sorpreso di quanto piccola sia l’azione scatenata da una politica monetaria espansiva. Finché l’economia crescerà così lentamente, la questione banche non andrà via. Non mi fraintenda. Non mi aspetto una seconda crisi finanziaria come nel 2008. Le banche oggi sono molto più stabili, nonostante tutto. Hanno maggiore capitale proprio». Ma adesso, a detta di Folkerts-Landau, siamo rimasti avvitati «in una spirale verso il basso. In Europa le istituzioni sono sedute su crediti in sofferenza pari a due miliardi di euro».

Ancora una volta, tutto questo suona come una profezia: «Non abbiamo tempo da perdere. L’Europa ha una società molto frammentata e c’è il rischio che i movimenti populisti vadano al potere».
«La Germania continua a credere di poter regnare, quasi in incognito, sull’Europa, imponendo le sue regole e la sua way of life, incurante degli altrui usi e costumi. Non che abbia tutti i torti, anzi, ma avendo rimosso le conseguenze politiche ed economiche della Prima e della Seconda guerra mondiale, adesso cerca, più o meno inconsciamente, quella rivincita che non ha mai avuto e che ancora una volta è probabile le sfuggirà, non senza aver prima prodotto un altro disastro per sé e per gli altri»Da “I diavoli” (Rizzoli, 2014)

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